Il centrocampista dell’Atalanta partita dopo partita si è conquistato i galloni di leader della Nazionale rossocrociata: ‘Quando serve mi faccio sentire’
Con i suoi 29 anni e la maglia da titolare dell’Atalanta delle meraviglie indossata con continuità in serie A e in Champions League, Remo Freuler è uno dei pilastri della Nazionale rossocrociata, da qualche mese a questa parte. Un riconoscimento che il vicecapitano della Dea si è guadagnato facendosi largo a suon di prestazioni e partendo da abbastanza lontano, nelle gerarchie del centrocampo elvetico nel quale è diventato la spalla ideale di Granit Xhaka. In assenza del capitano, è Freuler il puntello attorno al quale costruire l’impianto di gioco elvetico con il quale contrastare l’Italia campione d’Europa in carica.
Come definirebbe il suo ruolo all’interno del gruppo rossocrociato e la sua crescita personale in seno alla Nazionale? «La mia posizione è mutata molto, nell’ultimo anno e mezzo. Da molto tempo a questa parte ci sono sempre e sono titolare. La mia ferma volontà di non mollare mai è stata ripagata dalla fiducia dello staff tecnico. Oggi, in seno alla Nazionale, la mia parola ha un peso».
Lo stesso peso che sembra avere a Bergamo. Nelle ultime otto partite tra serie A e Champions ha indossato la fascia di capitano. «Se non gradisco qualcosa, lo dico e vengo ascoltato. Non gradisco particolarmente il basso profilo. Con il tempo ho imparato a impormi e farmi sentire. Prediligo però che le questioni vengano risolte in campo. Preferisco i fatti alle parole».
Due parole sulla stagione con l’Atalanta. «Sono felice che ottobre sia passato. Come già nella passata stagione, abbiamo lasciato troppi punti per strada. Mi auguro che la nostra fase migliore possa coincidere con le prossime settimane, anche grazie al recupero dei tanti infortunati che ci hanno condizionato non poco. Abbiamo disputato incontri con quattro o cinque titolari assenti, tutti nel reparto arretrato».
È stata particolarmente dolorosa la doppia rimonta subìta contro il Manchester United: da 2-0 a 2-3 all’Old Trafford, dal vantaggio 2-0 al 2-2 firmato Cristiano Ronaldo a Bergamo. C’è il rischio di aver compromesso il cammino in Champions League. «Eravamo arrabbiatissimi, dopo quelle due partite. A un certo punto abbiamo spento il motore, non sarebbe dovuto accadere. L’Atalanta vive di brio, movimento, qualità, gioco d’attacco contro ogni avversaria».
Tornando alla Nazionale, la figura di riferimento è Granit Xhaka, il capitano e leader carismatico del gruppo. La sua assenza è un fattore. «Per colmare una lacuna di quel peso, serve l’apporto di tutta la squadra. Non c’è un singolo elemento in grado di sostituire Granit. Ciascuno di noi deve dare qualcosa di più, per compensare la sua assenza. Finora l’operazione ci è riuscita piuttosto bene. Detto ciò, mi auguro che Xhaka possa rientrare al più presto».
Dal punto di vista privilegiato di chi il calcio italiano lo vive quotidianamente, gli Azzurri sono ancora condizionati dalla mancata qualificazione ai Mondiali del 2018 o il titolo continentale ha davvero dato vita a un nuovo corso che prende le distanze dal recente passato? «L’atmosfera generale è buona, sono tornate autostima e fiducia, dubbi ce ne sono pochi. Come per noi, anche per gli italiani è chiaro soprattutto un aspetto: hanno il destino in mano».
L’Italia ha superato il trauma “venturiano”. La Svizzera ha cancellato dalla testa lo 0-3 dello scorso giugno a Roma? «Da quell’incontro abbiamo fatto progressi in tutti gli ambiti. Non vedo punti comuni tra la situazione attuale e quella prestazione negativa. Per contro, dalla prospettiva degli Azzurri quel precedente potrebbe anche avere delle ripercussioni. A quella partita sono legati da ricordi molto felici. Roberto Mancini stesso ha dichiarato che «se disputiamo una grande partita, battiamo la Svizzera».
Con quali aspettative Freuler, ormai “adottato” dal massimo campionato italiano, affronta l’incontro di venerdì contro una squadra composta da colleghi che conosce molto bene da tanti anni? «Conosco ogni angolo della serie A, i giocatori che ritroverò a Roma li ho tutti affrontati più volte. La ritengo una sfida personale molto speciale, con una posta in palio il cui valore enorme è ben chiaro ad ambo le contendenti».
Concretamente, cosa è cambiato nelle file rossocrociate dopo il disastro di Roma? Quale peso ha avuto per la Nazionale la qualificazione ai quarti di finale con tanto di vittime illustri lungo il cammino e la consapevolezza di potersela giocare anche con le squadre più forti? «La vittoria a spese della Francia ci ha confermato che la Svizzera è in grado di battersi allo stesso livello delle grandi squadre, a condizione di essere focalizzata sull’impegno nel modo giusto. Lo sport è pieno di esempi di imprese mirabolanti, quando tutti i protagonisti remano nella stessa direzione con un obiettivo ben preciso in testa».
La linea di condotta la indica il tecnico. Come giudica l’operato di Murat Yakin dal suo insediamento al posto di Vladimir Petkovic? «In modo molto positivo. Ha un’idea chiara di come debba svilupparsi il nostro futuro. Il suo piano di gioco mi piace, prevede tanta strategia. In passato non lo avevo mai incrociato. L’interazione con noi giocatori è molto convincente, l’avvio della sua gestione promette bene. Petkovic era sempre pronto ad ascoltare i giocatori, da questo punto di vista i due tecnici sono simili. Murat è forse più “aperto” verso l’esterno».