Il selezionatore della U21: ‘Un allenatore è come uno chef, non bastano i prodotti di qualità, bisogna saperli unire. Vogliamo terminare la nostra Misione’
Alcuni assicurano che abbia il profilo giusto per guidare, in futuro, la Nazionale maggiore. Per il momento, Mauro Lustrinelli ha accettato la sua prima grande sfida come selezionatore della Svizzera U21, portandola alla fase finale dell’Europeo che inizierà mercoledì in Slovenia. Inghilterra, Croazia e Portogallo ostacoleranno i giovani rossocrociati, protagonisti di una notevole campagna di qualificazione. Ma per la Svizzera, l'idea è quella di completare la “Missione”, un termine coniato dal dipartimento di comunicazione dell’Asf e che è servito come linea guida per questa squadra e per il suo allenatore 45enne. In un'intervista con Keystone-Ats, il ticinese spiega il processo iniziato più di due anni fa.
Il termine “missione” vi accompagna dall'inizio dell'avventura. Senti che i giocatori l'hanno accettato?
«Assolutamente. Potete chiederlo direttamente a loro. Fin dall'inizio sapevamo che c'era qualcosa di speciale. I ragazzi sono davvero maturi, hanno quel desiderio, quel fuoco. Siamo qui per aiutarli a dimostrare le loro qualità. Ma l'identificazione con qualcosa di più grande è molto importante. La missione è ciò con cui possono relazionarsi, con quello spirito di squadra, il vivere insieme. Un allenatore è come uno chef: non basta avere i prodotti di qualità, occorre anche la ricetta giusta. Bisogna cercare buone relazioni tra i giocatori, tra persone che hanno emozioni diverse».
Come hai costruito questa idea di spirito di gruppo?
«Abbiamo fatto molta strada. Prima di tutto, abbiamo formato uno staff molto forte, in modo da avere una squadra nella squadra. Poi abbiamo cercato di portare un'identità, sia con l'idea di “Missione”, sia con la costruzione del nostro stile di gioco. Abbiamo pensato all'atteggiamento che volevamo avere. Abbiamo sentito che se volevamo progredire a livello internazionale, dovevamo farlo anche nella nostra testa. Quando parliamo di intensità, non ne parliamo solo a livello fisico, ma anche mentale: “Cosa sei disposto a fare per prepararti a vincere?”. E poi ho seguito i giocatori, cercando sempre di parlare con loro degli aspetti mentali. Volevo costruire un rapporto per capirli e aiutarli. Siamo cresciuti insieme».
A livello umano, ha cercato giocatori con un profilo particolare?
«No, non proprio. Perché non credo che in Svizzera si possa cercare un solo profilo. Altrimenti i giocatori a disposizione non sarebbero molti. Mi adatto alle caratteristiche dei miei ragazzi. Devono corrispondere alla mentalità del gruppo».
È speciale allenare una squadra U21, sapendo che sono giovani, ma già professionisti?
«Non è più calcio giovanile. Alcuni di loro giocano all'estero. A livello internazionale l'intensità delle partite è molto alta, proprio come in occasione delle due sfide contro la Francia. A volte ci sono ancora degli errori di gioventù che non possono essere compensati, come invece avviene nei club, dall'esperienza di elementi di 30 anni. Ma abbiamo bisogno che alcuni di loro si assumano questa responsabilità. Questi sono giovani giocatori che normalmente nei loro club non hanno un ruolo di leader. Qui hanno l'opportunità di crescere anche sotto questo aspetto».
Come si fa a parlare con loro?
«Per me non esistono giovani o vecchi. Sono persone e io cerco di costruire un rapporto con le persone. Con una buona energia, rispetto e fiducia reciproca. Mi chiamano Mauro o coach. Non sono un allenatore che frappone molta distanza nei confronti dei suoi giocatori, ma questo non ha niente a che vedere con il rispetto».
E come ti percepiscono?
«Come un allenatore della squadra nazionale che è lì per aiutarli a realizzare i loro obiettivi. Il mio ruolo è quello di indicare la direzione e convincerli che seguendo una certa strada possiamo avere successo. Se i ragazzi hanno fiducia in te, allora ti seguiranno. E se seguono lo staff, allora noi possiamo dar loro fiducia. È un’interazione che si sviluppa nei due sensi. Se credono nel progetto, allora sono pronti a morire in campo per realizzarlo. È davvero un circolo virtuoso».
Come vedi questa generazione da un punto di vista tecnico-tattico?
«A livello tecnico siamo a posto. Anche dal punto di vista tattico. Fisicamente, non siamo ancora al livello di squadre come l'Inghilterra, che sono abituate a giocare ad alta intensità. Mentalmente, abbiamo già fatto un grande passo avanti. Dopo di che, quando prendi un gol all'ultimo minuto contro la Francia, puoi dire a te stesso che avresti potuto fare di più. Per questo dico che la sconfitta è arrivata al momento giusto».
La qualificazione per l'Euro rappresenta già un obiettivo raggiunto?
«Vincere nove partite di fila è stata una cosa importante. Sono anche contento della sconfitta in Francia (2-1 a novembre, ndr). Dovrebbe insegnarci che se non cerchiamo di migliorare, ogni piccolo errore sarà pagato caro prezzo. Se nelle tre partite dell’Euro non saremo di nuovo disposti a compiere qualcosa di straordinario, sarà molto difficile ottenere i risultati che sognamo».
Che tipo di calcio può giocare la Svizzera U21 contro squadre forti come Inghilterra, Portogallo e Croazia?
«La nostra idea è quella di mantenere la nostra identità, con una buona struttura difensiva molto organizzata. E di essere molto dinamici nella fase offensiva, con il desiderio di cercare la verticalità. Questa è la nostra base e spero che chi guarderà le nostre partite veda una squadra piena di passione e che vuole segnare un gol in più dell'avversario».
Come allenatore, come ti descriveresti?
«Prima di tutto, i giocatori devono andare in campo sapendo cosa fare. Ma di sicuro, nella squadra nazionale, non si può fare molto. Devi dare due o tre concetti dominanti. E bisogna essere flessibili e adattarsi ai giocatori. Almeno nella fase offensiva, perché in quella difensiva c'è solo disciplina».
Sei vicino alle idee di Vladimir Petkovic?
«Sì, in molte cose. Anche se usiamo sistemi completamente diversi. Ma siamo simili in molti aspetti».
Il ruolo di un allenatore U21 non dovrebbe essere quello di preparare i suoi giocatori per la selezione maggiore?
«Con Pektovic, abbiamo molti scambi, ma non espressamente sulla tattica. Si tratta soprattutto del lato mentale delle cose. Vlado ritiene che un giocatore debba fare la differenza nella U21 per avere la possibilità di andare con la Nazionale maggiore».
Per molti giocatori, questo Euro rappresenterà l'ultima opportunità di indossare la maglia della Svizzera, dato che non andranno mai in prima squadra…
«Esattamente. Devono giocare come se fosse l'ultima partita della loro vita con la maglia rossocrociata».