Calcio femminile

Nessuna via d’uscita per il Football femminile Lugano

La sezione della popolazione diretta da Silvia Gada toglie ogni speranza al club bianconero di Lega nazionale A: le americane non sono in regola

Ti-Press/Gianinazzi
15 ottobre 2019
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Emanuele Gaiarin, presidente del Football Femminile Lugano 1976 la cui prima squadra si è vista privata della quindicina di calciatrici statunitensi sprovviste del permesso di lavoro imposto dalla Sem, la Segreteria di Stato della migrazione, ha annunciato il proprio disimpegno, conseguenza delle nuove condizioni venutesi a creare ch rendono vano il suo sforzo di portare avanti a Lugano un discorso di stretta interazione tra studi superiori (o accademici) e sport. L’ipotesi del ritiro della squadra non è infondata, con tanti saluti a un progetto nato con le migliori intenzioni ma che non poggiava su basi legali solide. Sotto i colpi di alcune verifiche portate avanti dalla Sezione della popolazione, il castello dell’Ff Lugano è crollato, senza che ci siano i margini per una ricostruzione. Quantomeno, non nelle modalità che erano state scelte dall’attuale dirigenza sposate, oltretutto, dall’Ff Lugano di Angelo Renzetti, con cui il rapporto era stato intensificato nelle scorse settimane. «Le attività svolte in una qualsiasi serie A – spiega Silvia Gada, direttrice della Sezione della popolazione – siano esse maschili o femminili, sono considerate per le persone provenienti da Stati terzi alla stregua di attività lucrative».

Le quali, per svolgere suddetta attività, devono essere in possesso di un regolare permesso di lavoro, ciò che naturalmente le americane in forza al club bianconero non hanno, come le verifiche del caso hanno facilmente potuto constatare. È questo, in soldoni, il principio che ‘condanna’ il Lugano calcio femminile, messo alle strette da una direttiva della Sem senza via d’uscita, se non la regolarizzazione della posizione di ciascuna calciatrice straniera, con tanto di minimo salariale da corrispondere loro.

Il contesto fa la differenza

Le statunitensi in forza all’Ff Lugano sono (o meglio, erano) in Ticino con il cosiddetto “Pass Academy”, ovvero un visto per un’esperienza di studio o attività sportiva all’estero. Questo statuto non apre però le porte a una deroga al principio contenuto nelle direttive della Sem, ben spiegato dalla signora Gada. La quale aggiunge che «se l’attività sportiva la si svolgesse in una squadra che milita, per fare un esempio, in una società di Prima Lega, non ci sarebbe problema alcuno. Sarebbe un’attività amatoriale, e potrebbe essere considerata aggiuntiva a una realtà di studio, che a quella stregua sarebbe però l’obiettivo principale del rilascio del permesso. Nel caso delle calciatrici, il motivo principale per cui sono sul nostro territorio, è la pratica di un’attività sportiva in serie A. La differenza la fa il contesto che regolamenta la presenza sul territorio di tutte le persone: ciascun permesso rispecchia il motivo per cui è stato richiesto. Hanno diritto di esserci il cittadino in possesso del passaporto, la persona che richiede il permesso da frontaliere per venire a lavorare, o una persona che ha un permesso B senza attività lucrativa perché ha già i mezzi propri. Queste ragazze, per contro, arrivano dagli Stati Uniti, hanno un permesso di studio (la maggior parte di loro), a Varese, e studiano in Italia. Arrivano in Ticino per svolgere un’attività in serie A, giudicata, a seguito di una verifica fatta con la Sem, professionistica per gli Stati terzi, quindi lucrativa. Non c’è altro modo di definirla, se non come attività principale sportiva a scopo lucrativo. La quale andrebbe regolarizzata con un contratto e con le relative condizioni che andrebbero riconosciute e rispettate. Il discorso sarebbe diverso se fossero comunitarie: in quel caso, le regole sarebbero diverse». Ma non è questo il caso. Né ci sono i margini perché la questione, dal punto di vista del Lugano, si possa risolvere, se non regolarizzando la posizione delle proprie calciatrici straniere. «Facendo domanda per ogni singolo elemento, come attività lucrativa, rispettando lo stipendio minimo indicato dalle direttive. Altre realtà sportive rispecchiano questi vincoli». Ma non impiegano quindici straniere... «Questo significa che il Lugano ha fatto il passo più lungo della gamba». «Il visto da turista non è un appiglio... «Risulta che si allenino tutte le sere, e che siano in Ticino per le partite, nel fine settimana. Vanno ben oltre i tre mesi previsti dal permesso di turista».

La società si difende

«Auspico una soluzione in tempi brevi, perché sabato dovremmo già scendere in campo per una nuova partita». Renato Belotti, diesse del Lugano, non nasconde la preoccupazione per una vertenza che potrebbe avere gravi ripercussioni sul club bianconero... «Noi abbiamo agito in assoluta buona fede, ma se la Segreteria di Stato per le migrazioni (Sem) confermasse l’impossibilità per le nostre ragazze di scendere in campo, rischieremmo davvero di chiudere baracca e burattini perché sarebbe economicamente impensabile e sportivamente diseducativo portare a termine le rimanenti 19 giornate di campionato con ragazze di 16 e 17 anni, con la certezza di perdere il nostro posto nell’élite svizzera. Tutto il progetto di crescita del calcio femminile si basava sul mantenimento di un posto nella massima categoria, anche grazie alle giocatrici statunitensi, in modo da dare uno sbocco a tutte le ragazze che stanno crescendo e che a Giubiasco si allenano tre-quattro volte a settimana. Non possiamo permetterci di stipendiare le nostre giocatrici e nel contempo rischiamo di perdere quei pochi sostegni finanziari legati alla visibilità e al riscontro ottenuti».
Come è nato questo pastrocchio? «Eravamo convinti che, in quanto calcio femminile e in quanto legati alla Lega amatori dell’Asf non avessimo bisogno di permessi di lavoro per le nostre giocatrici, le quali, lo ribadisco ancora, non percepiscono compenso alcuno. E nemmeno noi traiamo benefici economici dall’operazione. Essendo dilettanti pure, le ragazze possono andarsene a parametro zero quando desiderano e noi non percepiamo alcuna indennità di formazione».
La Sem dovrebbe valutare meglio, caso per caso, sport per sport, società per società? «Non muovo nessun rimprovero all’azione della Sem, ma credo che quando questo regolamento è stato messo nero su bianco si sia pensato soltanto al calcio declinato al maschile e a tutti quegli sport che davvero presentano realtà legate al professionismo».
L’Asf doveva essere la corrente della situazione. Perché non vi ha mai messi sul chi vive? «Non so il perché, ma a noi non è mai stato segnalato il problema. Eppure le ragazze le dovevamo tesserare. E lo facevamo passando dal canale riservato agli atleti dilettanti. Forse a Berna nessuno si è accorto che qualcosa non funzionava».
Due terzi delle ragazze sono già tornate negli States... «Avrebbero dovuto iniziare la scuola ad ottobre a Varese, ma la situazione ha colto pure loro di sorpresa. Se la vertenza non si dovesse risolvere in tempi brevi, pure le cinque ancora qui sono destinate a far rientro a casa loro».
Il futuro del Lugano è dunque appeso a un filo.