Quella odierna è una giornata davvero speciale per il fuoriclasse dei Los Angeles Lakers, che malgrado l’età resta sempre fra i migliori della Nba
LeBron James, il Re, il prescelto, l’eletto, il GOAT del basket per alcuni, dove l’acronimo sta per Greatest Of All Time, il più grande di sempre. Ma forse – e soprattutto – LeBron James l’eterno, visto che oggi, 30 dicembre 2024, compie 40 anni e lo fa preparandosi a giocare, calcoli a spanne, la 1856esima partita della carriera, curiosamente contro i Cleveland Cavaliers, il suo passato più importante. Negli Stati Uniti si dice che l’unico a essere imbattuto è Padre Tempo, ma LeBron, bisogna dargliene atto, gli sta dando filo da torcere. Esiste un atleta più longevo? Forse sì (Kazu Miura che ancora gioca a 56 anni, Martina Navratilova competitiva in doppio fino ai 50, Valentino Rossi in moto fino a 42). Ma uno capace a questa età di essere ancora tra i migliori nel suo sport? No, punto.
L’ultima impresa alle Olimpiadi di Parigi, pochi mesi fa: LeBron è tornato a vestire la maglia degli Stati Uniti ai Giochi 12 anni dopo l’ultima volta, da capitano di una squadra dal talento vertiginoso, ma invece di limitarsi a fare la parte del vecchio saggio, più supporto emotivo che pratico, si è rimboccato le maniche e ha mostrato una continuità impressionante nell’arco di tutto il torneo (14,2 punti, 8,5 assist e 6,8 rimbalzi a partita, il migliore tra i suoi compagni), mettendo a segno le giocate decisive nei momenti chiave contro Serbia e Francia e portandosi a casa, oltre al terzo oro olimpico della carriera, il premio di miglior giocatore della manifestazione, ovviamente il più vecchio di sempre a vincerlo.
LeBron, insomma, come piccolo miracolo della scienza o della genetica, vedete voi; sicuramente un capolavoro del talento, del lavoro duro, della fortuna anche, o più probabilmente di tutte queste cose messe insieme, una specie di uomo-macchina capace a 40 anni di scendere ancora in campo ogni due giorni contro avversari che hanno spesso la metà dei suoi anni e che potrebbero essere suoi figli (che poi il figlio in Nba c’è, ma questa è un’altra storia) e di farlo ancora a modo suo, cioè giocando un basket che non si risparmia, che è fisico, intenso e creativo. In questa stagione sta giocando addirittura più che in alcune stagioni passate (35 minuti di media), sta segnando più punti a partita che nel suo anno da rookie (23,5) e sta prendendo più rimbalzi e distribuendo più assist rispetto alla sua media in carriera (rispettivamente 7,9 e 9 di media).
Sicuramente, sulle 82 partite della stagione regolare non è più in grado di garantire la stessa continuità irreale dei suoi anni migliori (è comunque umano), ma nella singola partita, nel momento in cui decide di metterci tutto, è ancora uno spettacolo atletico tra i migliori che vi possa capitare di vedere. Un quarantenne di 206 centimetri e 113 chili che vola per il campo come fosse un camion con le movenze di una ballerina.
Basta guardare la recente chase-down, la stoppata in recupero arrivando da dietro, marchio di fabbrica della casa, assestata al povero Andrew Wiggins nella partita di Natale contro i Golden State Warriors; oppure la tripla doppia contro gli Atlanta Hawks (39 punti, 11 assist, 10 rimbalzi) o quella ancora più recente contro i Detroit Pistons. Come si sopravvive così a lungo e così bene in campo?
«È semplicemente un impegno verso la maestria, la passione e l’amore che nutro per il gioco», è la risposta data da LeBron qualche settimana fa all’ennesima richiesta di spiegazione della sua longevità, dopo aver battuto uno degli infiniti record della Nba che gli appartengono. Un ‘amore’ e una ‘passione’ che magari a parole saranno anche retorica da vecchio lupo di mare, ma che sono ben visibili nel suo approccio al basket, nell’energia positiva con cui prova a ispirare gli altri giorno per giorno, nella gioia evidente con cui compete ancora ai massimi livelli, pur senza quella foga bulimica della vittoria a tutti i costi. Nella capacità di essere davvero un leader, dentro e fuori dal campo, di prendersi le sue responsabilità, metterci la faccia.
Oltre questi aspetti più olistici, però, c’è una realtà atletica che non può essere ignorata. La cura che LeBron James ha del suo corpo è eccezionale anche all’interno di una Lega fatta da atleti eccezionali. Un’attenzione al dettaglio che nel corso degli anni gli ha fatto cambiare il fisico in base all’età e alle necessità, consentendogli di giocare praticamente in tutti i ruoli del basket, dall’uno al cinque, e di farlo senza praticamente infortunarsi mai. Sulla tipologia di allenamenti e trattamenti a cui si sottopone si specula da anni, arrivando fino alla morbosa ricerca di quanto spende, personalmente, per tenersi così in forma (l’ipotesi che circola di più è che si tratta di un milione e mezzo di dollari l’anno). LeBron è stato un precursore nell’importanza di usare tecnologie avanzate per trattare i propri muscoli e garantirne il miglior recupero possibile, ma ha sempre tenuto ben nascosta questa parte della sua vita, perché come si dice è quello che fai nell’ombra che ti fa risaltare sotto la luce.
Nel recente documentario di Netflix Starting Five finalmente si è capita un po’ meglio la routine che segue pedissequamente per mantenere i ritmi folli di una stagione Nba a 40 anni. Nella sua giornata ci sono allenamenti personalizzati studiati per il suo corpo, una dieta speciale e tecniche di recupero all’avanguardia fatte di camere iperbariche, vasche di ghiaccio, massaggi terapeutici, stretching e ore e ore di sonno. Mike Mancias, il preparatore atletico che lo segue da inizio carriera, è non a caso spesso chiamato ‘il preparatore dei miracoli’. Il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi quasi ogni sera.
I numeri non dicono tutto, ma in questo caso sono un buon surrogato per provare a spiegare questa capacità metafisica di estendere la propria grandezza su un periodo di tempo così lungo. Nella storia della Nba LeBron è il giocatore con più stagioni giocate (22, insieme a Vince Carter), quello con più minuti giocati sia in regular season che ai playoff (per un totale di 69’437 minuti al momento in cui scrivo), quello con più punti segnati (49’262) e con più partite consecutive con almeno un canestro a segno (1’793, tutte quelle in cui ha giocato in Nba).
È quarto per assist (11’261), ottavo per palle recuperate (2’298), ventinovesimo per rimbalzi (11’405). Ha una striscia ancora aperta di oltre milleduecento partite consecutive con almeno dieci punti segnati; ovviamente è il migliore anche qui, ovviamente è un record che sarà impensabile battere in futuro. È anche il miglior marcatore nella storia dell’All-Star Game, quello con più premi di giocatore del mese e della settimana. Forse però la statistica che più di tutte racconta la sua longevità è quella che dice che LeBron ha giocato con più del 36% di tutti i giocatori nella storia della Nba, oltre un terzo cioè di tutti quelli passati per la Lega dalla sua nascita a oggi.
LeBron ha esordito tra i professionisti nel 2003, in una Nba in cui a dominare c’erano Kevin Garnett, Kobe Bryant, Shaquille O’Neal, Allen Iverson, Tracy McGrady. Oggi i nomi di grido sono Nikola Jokic, Giannis Antetokounmpo, Luka Doncic, Jayson Tatum, Victor Wembanyama. Sono due mondi diversi. A essere cambiato è praticamente tutto: il modo in cui si gioca a basket, come ci si relaziona col pubblico e con la stampa, sono cambiate anche le regole del gioco e il mondo fuori dal campo.
In questa lunghissima era LeBron è stato la costante per la Nba. Ci sono stati tanti ‘James’ in 22 stagioni: il ragazzino prodigio della copertina di Sports Illustrated, il giovane amato da tutti che da solo ha trascinato Cleveland alle Finals a 22 anni, quello ingenuo e arrogante di The Decision, quello odiato e vincente di Miami; il LeBron che dopo i trent’anni ha cambiato radicalmente il suo fisico per sopportare meglio il tempo che passa; quello onnipotente del titolo del 2016, quello in missione nel 2020. Poi ci sono anche il LeBron imprenditore, il LeBron politico, il LeBron attore (forse la sua peggior versione), il LeBron padre affettuoso. Come detto, però, a non essere mai cambiata è la sua capacità di essere efficiente, decisivo e spettacolare.
Quanti altri LeBron ci aspettano ancora? Da fuori potrebbe quasi sembrare normale vederlo continuare ancora a lungo. Dopo il primo figlio aspettare l’arrivo in Nba del secondo (Bryce che, si dice, sia più talentuoso di Bronny), o almeno provare a estendere tutti questi record che già gli appartengono fino a limiti inesplorati.
Se ancora riesce a essere competitivo a 40 anni, perché non potrebbe esserlo a 42? O magari a 45, 48, 50. LeBron il primo 48enne a realizzare una tripla doppia nella storia, a segnare 50 punti a 50 anni, a vincere un titolo insieme a due figli. Dopotutto, se non fosse per quello spruzzo di barba bianca che ogni tanto si tinge di nero per nasconderla, sarebbe davvero difficile dire che sia passato del tempo per lui e il suo corpo negli ultimi dieci anni.
A smorzare questa utopia è stato LeBron stesso: «Non giocherò ancora per molto, per essere completamente onesto», ha detto qualche settimana fa, ricordandoci che comunque questa storia prima o poi dovrà finire. «Non so quanti anni saranno, se è un anno o due. Non giocherò fino a crollare. Non sarò quel tipo di persona. Non sarò uno di quelli che manca di rispetto al gioco solo per dire di essere in campo».
Ci rimane quindi un tempo finito per goderci LeBron James, apprezzare un atleta che, magari, non è stato il più grande di sempre, magari non ha vinto quanto altri, o ha avuto dei limiti nel modo di comunicare, ma che ogni volta che è sceso in campo lo ha fatto con serietà ed entusiasmo, rispettando il basket e noi che lo guardiamo. Anche per questo, ancora una volta: Buon compleanno, LeBron James.