Ajla Del Ponte, dopo tre stagioni segnate dagli infortuni, racconta come si sente e spiega a che punto è nel suo percorso di ripresa
Dopo tre stagioni sofferte, Ajla Del Ponte si è ritrovata da spettatrice sugli spalti dello Stade de France di Parigi, lo scorso 3 agosto.
«Durante la finale olimpica dei 100 metri, ho chiuso gli occhi», confessa all’Ats la velocista ticinese. «Ora mi sento bene, fisicamente e mentalmente», rivela, «e in preparazione riesco a fare tutto. A livello di velocità, mi manca ancora qualcosa, anche se ogni tanto riesco a essere davanti alle ragazze con cui mi alleno».
I problemi alla coscia destra sono dunque finalmente soltanto un brutto ricordo? «A inizio autunno, ricominciando ad allenarmi, ero un po‘ in apprensione, lo ammetto, specie il 18 ottobre, perché in quella data nel passato mi sono infortunata ben due volte. Comunque, quando accelero, ogni tanto sento ancora un leggero dolore. Sull’apprensione, ad ogni modo, ci sto lavorando. Nelle ecografie si vede bene la cicatrice formatasi, e ciò è positivo. Infine, i test di forza e resistenza che faccio ogni settimana mostrano che il muscolo migliora ogni volta un po' di più».
A 28 anni, Ajla vuole credere che tutto per lei sia ancora possibile, dopo tre annate segnate dai problemi alla coscia e dall’operazione a cui si è sottoposta dopo la tripla frattura della tibia nel 2022.
A volte, però, ha avuto la tentazione di mollare tutto. «Ci ho riflettuto spesso. Mi chiedevo perché mi succedessero tutte quelle cose, mi interrogavo su che cosa stavamo facendo di sbagliato. E in due occasioni ho detto chiaro e tondo al mio coach Laurent Meuwly che avrei smesso con l’atletica. L’ultima volta è stato lo scorso mese di maggio, dopo il meeting di Basilea, quando a tradirmi furono le due corse in un solo giorno. Quando la Tac ha mostrato che il muscolo era del tutto strappato, come nel 2023, mi dissi che davvero non avrei potuto rifare tutto il percorso daccapo. Ho subito pensato che Parigi era fuori discussione. I medici, però, dissero che avevo ancora qualche chance».
Una remotissima possibilità, a cui alla fine ha comunque deciso di aggrapparsi. «Ho ritrovato un po’ di speranza, anche se i dottori non mi hanno promesso nulla, però potevo almeno provarci. Credevano che sarei potuta tornare in pista per i Campionati svizzeri di fine giugno a Winterthur, dove mi sono però fermata in semifinale, senza staccare il ticket olimpico. Sapevo che il muscolo poteva cedere, e avevo solo 5 settimane per recuperare prima dei Campionati nazionali. Toccava a me decidere, e ho scelto di provarci», racconta la campionessa d’Europa indoor sui 60 metri nel 2021.
«Fiducia e sostegno dei medici mi hanno ridato voglia di prolungare la mia carriera. Paura di forzare troppo? No, trattandosi di problemi muscolari, non temo di pregiudicare in questo modo la mia vita normale una volta che smetterò con l’atletica leggera».
«Lo sport d’alto livello è logorante, anche se spesso non viene detto», spiega la valmaggese, che non nasconde di aver sofferto di episodi depressivi. «Ma in realtà lo è, specie a livello mentale. Si ha la tendenza a tener nascoste le cose. E, nel mio caso, anche a non accettarle».
Come mai per lungo tempo non ha voluto parlare di certe cose? «Si tende innanzitutto a tenersi al riparo dallo sguardo degli altri, perché sulla depressione c‘è una visione negativa, e viene spesso associata alla debolezza e alla pigrizia. E ciò è proprio legato alla nostra cultura svizzera: non ci si deve mai lamentare. E quando si parla di certe cose, c’è sempre un certo fastidio».
Per quale motivo, dunque, andare sugli spalti ad assistere a una finale olimpica a cui aveva invece preso parte tre anni prima, cogliendo un eccezionale quinto posto a Tokyo?
«Era il modo per elaborare il mio lutto», dice la seconda rossocrociata più veloce della storia, col suo 10"90 stabilito nel 2021. Una scelta meditata, anche se un po‘ aveva esitato: «Avevo dei biglietti per i miei genitori, e volevo andarci anch’io per staccare un po’. Inoltre, non sai mai quanto avrai la prossima opportunità di assistere da spettatore ad altre Olimpiadi in Europa. Durante la finale, dicevo, ho chiuso gli occhi, come per lasciarmi tutto alle spalle. Ammetto che tutto ciò, ogni tanto, fa male al cuore: il fatto di non aver potuto parteciparvi resterà per sempre una delusione. È stata una fase dolorosa, ma ho dovuto accettare il fatto che non fosse il mio momento».
«Mi ero detta che il mio posto era ancora in pista, avevo fatto di tutto per qualificarmi ai Giochi, e dunque non è stato facile mettermi tutto alle spalle. Ad ogni modo, se non ci avessi provato fino alla fine, avrei avuto rimpianti per tutta la vita».
Ora Ajla guarda al futuro, anche se è un po’ presto fissare obiettivi precisi: «Al momento, prendo le cose come vengono, anche se per un’atleta porsi obiettivi è indispensabile, è il nostro motore. Sarebbe già un successo tornare fra le migliori svizzere, pur sapendo che nello sprint la concorrenza è spietata. Devo prendere le cose una dopo l’altra. Il primo obiettivo è riuscire a disputare una stagione completa indoor. Comincerò a gareggiare fra un mese abbondante, dopo il tradizionale campo d’allenamento in Sudafrica. Il cronometro, per ora, conta relativamente: prima di tutto voglio ritrovare il piacere di correre».