Al Sestrière, impegnata nelle gare di sci, ci sarà pure la 44enne ticinese: ‘Prima di tutto per godermi il momento. Se dovesse arrivare il risultato...’
“Zehn, drei”, e, ancora “Zehn, zwei”... In primo piano, in presa diretta da chi ha girato le immagini, si vede la guida che scende lungo il pendio innevato. La ripresa cambia prospettiva: stavolta gli atleti si vedono entrambi: davanti c’è la guida, subito dietro lei, la sciatrice cieca che una porta dopo l’altra avanza spedita verso il traguardo. E di quei traguardi, Judith Wegmann, ne ha già tagliati parecchi, togliendosi molte soddisfazioni. Anche se quello più importante, in ambito sportivo, ancora l’attende: dall’8 al 15 marzo prossimi, infatti, impegnata nelle gare di sci alpino del Sestrière, i World Games Special Olympics invernali, ci sarà anche la bellinzonese.
Il video prosegue, e in sottofondo si sentono le prime strofe di ‘Don’t Stop Me Now’ dei Queen. Scelta non casuale perché, appunto, Judith di fermarsi dall’inseguire i propri desideri, sportivi in primis ma non solo, non vuol saperne. Gli ultimi fotogrammi la mostrano su un podio, con una delle tante medaglie vinte sciando. Quella acquisita fra i paletti è però solo una delle tante abilità che la 44enne coltiva. E che racconta quando la incontriamo assieme alla sua guida e amica Loredana Nocelli-Rossi.
Nata a Berna, complice anche la sua salute, Judith ha girato un po’ tutta la Svizzera. Nel 2011 ha poi lasciato Zurigo, ultima tappa del suo periplo oltre San Gottardo, per spostarsi a Bellinzona. «Quando sono arrivata qui non parlavo praticamente una parola di italiano: ero la tipica ‘zucchina’», racconta con un sorriso che le illumina il volto. Poi, con un italiano quasi impeccabile e che di certo farebbe invidia a parecchi altri nati e cresciuti a sud delle Alpi, aggiunge: «Inizialmente ho abitato e lavorato al Dragonato, ed è lì che ho cominciato a imparare l’italiano, grazie a una collaboratrice dell’istituto. Era molto esigente, ma anche molto brava. Ora, pur non parlandolo, capisco anche il dialetto. Del resto, se… capisco l’urano stretto di Kurt (Fedier, la sua guida nelle gare di sci, con un trascorso nei quadri giovanili nazionali di sci, ndr), nulla è impossibile! Il merito del mio italiano lo devo però alle persone che mi sono state vicine e che si sono adoperate affinché imparassi bene la lingua di Dante. Senza accontentarsi e accontentarmi del livello ‘basic’. Sì, posso dire di esserci riuscita: ora il mio vocabolario personale di italiano è più ricco di quello tedesco».
‘Non voglio vivere con l’ansia di sapere se un giorno o l'altro per me saranno solo tenebre o no. Preferisco godermi ciò che arriva’
L’importante deficit visivo, Judith se lo porta appresso dalla nascita: «Sono nata con una grave forma di ipovedenza all’occhio destro, con una visibilità ridotta all’incirca al 10%, e con quello sinistro praticamente scollegato dal cervello. Col tempo quel 10% l’ho perso: ora percepisco qualche ombra in ambienti particolarmente luminosi. La natura di questa ipovedenza non è mai stata chiarita appieno dai medici che mi hanno curata. Non so nemmeno se è qualcosa di ereditario, e francamente non mi interessa: per saperlo dovrei sottopormi a test che trovo inutili e sfiancanti; ne ho già fatti a sufficienza… E non voglio nemmeno vivere con l’ansia di sapere se un giorno o l'altro per me saranno solo tenebre o no. Preferisco vivere così, prendendo giorno per giorno e godermi ciò che arriva. Non lo vivo come un handicap. Anzi, spesse volte è il come si comportano gli altri attorno a me che mi mette in difficoltà, non i miei limiti».
Con gli sci ai piedi già in tenera età, alle gare ci è arrivata per gradi. «Avrò avuto suppergiù 4 anni quando ho messo per la prima volta gli sci ai piedi. Ovviamente non in una stazione invernale con impianti di risalita: solo piccoli pendii per scivolare un po’. Ma la sensazione che ho provato mi è subito piaciuta: ancore, seggiovie e piattelli sono arrivati più in là, all’età di 12 anni. Ma già quella prima infarinatura mi ha aiutato parecchio nel trovare il giusto equilibrio». Nel 2004 ha poi deciso di fare un ulteriore step, mettendosi in gioco nel mondo delle gare, spinta da un’istruttrice di sci. «L’anno seguente, per la prima volta, ho partecipato ai Campionati svizzeri paralympic in slalom gigante. Ma non ho fatto molta strada: dopo tre porte sono uscita!». Cosa che non l’ha comunque scoraggiata, anzi… «Non ho mollato, e mi sono presentata al cancelletto di partenza anche delle edizioni seguenti. Ogni volta con l’obiettivo di fare sempre un passo avanti: il secondo anno mi ero posta come traguardo quello di finire almeno la prima manche, e così è stato. La prima volta che ho completato le due discese, poi, sono arrivata nettamente ultima, ma ero raggiante, perché avevo pur sempre migliorato dall’anno precedente». Finché… «Finché nel 2012 a St. Moritz per la prima volta mi sono laureata campionessa svizzera di gigante. L’anno seguente non ce l’ho fatta a ripetermi, ma dal 2014 in poi ogni anno mi sono portata a casa il titolo di gigante. Non dovendo fare i conti solo con la cecità, tuttavia, non posso far parte del team paralimpico svizzero. Così, quest’anno per la prima volta mi sono presentata al cancelletto di partenza dei National Games di Special Olympic, a Meiringen. Come è finita? Beh… ho vinto!». Ora però l’asticella si alza ancora una volta: a marzo l’attendono dunque i World Games di Special Olympics: «A Torino, dove disputerò il gigante, lo slalom e il superG nella categoria Advanced (dove saremo solo io e un’altra atleta a rappresentare la Svizzera), vado prima di tutto per divertirmi e godere dell’atmosfera speciale che ci sarà. Poi, chiaramente, se dovesse anche arrivare un buon risultato, tanto meglio! Non sono il genere di persona che si fa condizionare da ciò che la circonda, e questo mi dà fiducia: so che quando sarò al cancelletto di partenza darò il mio meglio. E staremo a vedere a cosa mi porterà. Adrenalina ne provo, eccome, ma è quel genere di eccitazione misurata, che ti spinge ad andare al tuo limite, senza eccedere. La considero un po’ come il mio doping naturale. A ogni buon conto non guardo mai i tempi degli altri atleti: quando sono sul percorso mi concentro su me stessa, cercando di fare tutto giusto e tutto bene».
Da qui ai World Games, cosa prevede la marcia di avvicinamento di Judith? «La base tecnica c’è e sul piano della velocità non possiamo fare molto più di così, anche perché ci sono dei limiti dettati dalla tempistica dei comandi da rispettare. Ciò che possiamo fare, invece, è lavorare sulle linee, cercando di essere più diretta sulle porte. Devo anche acquisire un pizzico in più di fiducia, perché capita pure a me di avere un po’ di paura talvolta. Al di là del mio handicap, non riesco ancora a fidarmi, mi si passi il termine… ciecamente. Molto del mio livello lo devo a Kurt, la cui esperienza, maturata non da ultimo allenando due sciatrici in Coppa Europa, mi ha permesso di fare notevoli progressi». Prima di spostarsi in Piemonte, assieme a tutta la delegazione svizzera che si recherà a Torino (68 persone, di cui 39 atleti, guidati dal capodelegazione, ticinese pure lui, Aldo Doninelli), Judith sosterrà un campo di allenamento a Villars, dove è prevista pure una gara che fungerà da prova generale in vista dei World Games.
La squadra composta da Judith, Kurt e Loredana raggiungerà Torino il 6 marzo, per assistere, due giorni più tardi, alla cerimonia d’apertura della manifestazione. L’indomani il team si sposterà al Sestrière, dove la prima gara è in programma lunedì 10 marzo.
La pista, per Judith e la sua guida, è una sorta di quadrante di un grande orologio. Perché è appunto rifacendosi alla disposizione dei numeri che indicano le ore che l’esperto Kurt Fedier, che scende davanti a lei e in costante collegamento via radio, la guida tra una porta e l’altra, fino al traguardo: “Zehn, zwei...”.
Judith non è certo quel genere di persona che ama starsene, come si suol dire, con le mani in mano. Anzi, la sua vita, anche sportiva, è tutto un turbine di emozioni. Quando non è impegnata sulle piste da sci, la si può vedere sfrecciare con i pattini inline ai piedi: «Me la cavo bene anche con i pattini inline, anche se con gli sci ai piedi è tutta un’altra cosa». E non è finita qui: chi ha assistito a una delle ultime edizioni del Galà dei Castelli, il suo nome l’avrà di certo già sentito: «Lì ho corso diverse volte nel pre-meeting: gli 80 metri con Inclusione Andicap Ticino. Tutte le volte che ci sono stata ho sempre vinto, eccetto quest’anno, dove pur migliorando la mia miglior prestazione personale al meeting di 70 centesimi (16”11), sono finita seconda, alle spalle dell’atleta che in passato avevo sempre battuto».
«Lo sci per me è stata una sorta di lezione di vita: è grazie alla pratica di questo sport che ho potuto vincere tante piccole sfide nella mia quotidianità. Prima, quando mi capitava di cadere, per lo spavento spesso svenivo. Cadendo sulle piste, invece, ho imparato a vincere quest’ansia e a rialzarmi». Nella vita di tutti i giorni di Judith, però, c’è anche molto altro. Come il progetto, che a novembre diventerà realtà, di aprire un atelier-punto d’incontro rivolto a tutti: «L’idea che sta alla base di tutto è di offrire alle persone, a titolo gratuito, la possibilità di ritrovarsi e socializzare in un’unica struttura. Viviamo in una società che offre punti di ritrovo dedicati esclusivamente agli anziani, altri per i bambini, altri ancora per portatori di handicap, ma nessuna struttura pensata appositamente come punto d’incontro e di ritrovo per tutti, indistintamente. Da qui mi è appunto venuta l’idea dell’atelier Octopus, un centro di quartiere, che aprirà i battenti idealmente a novembre o dicembre». Lì, si potrà incontrare Judith, intenta (anche) a realizzare le sue creazioni. «L’11 dicembre sarò pure presente con una bancarella al mercatino di Natale di Camorino, dove proporrò alcuni dei miei lavoretti, oltre che appetitosi biscotti natalizi, ovviamente sfornati da me!».
Se sulle piste, per le gare, gli ‘occhi’ di Judith sono quelli di Kurt Fedier, quando vuole farsi una sciata in relax sui pendii innevati, senza la competizione, come pure nella vita di tutti i giorni, il suo braccio destro è Loredana Nocelli-Rossi. Un ‘binomio’ che va avanti da 4 anni. «Ci siamo incontrate la prima volta nell’ottobre del 2020 – riassume quest’ultima, che di professione è docente di educazione fisica –. Judith cercava qualcuno che potesse fare un po’ di sport con lei e, complici conoscenze comuni, ci siamo incontrate. Premetto che non sono l’unica persona a seguire Judith, ma per la parte sportiva e ludica, il suo punto di riferimento sono io. Quest’estate ad esempio, siamo state via per alcuni giorni per un bel giro in roller: più di 130 km in 3 giorni. Fra noi fin da subito s’è creata un’ottima alchimia; una sorta di complicità. Siamo anche un po’ creative, per cui capita anche che seguendo il nostro filo ci… perdiamo un po’. Per Judith sono una sorta di braccio destro: a Torino il mio compito sarà quello di occuparmi di tutto il contesto fuori dalle piste, per fare in modo che possa concentrarsi sulle sue gare senza altri pensieri, benché lei sia in grado di cavarsela autonomamente in quasi tutte le situazioni». «Loredana, oltre che una mia grande amica, la considero come la mia ‘assistente personale’: io e lei formiamo una squadra inseparabile», le fa eco Judith.