La recente vicenda di Rohan Dennis, ciclista accusato dell'omicidio della moglie, evoca celebri storie di atleti implicati in gravissimi delitti
Nei giorni a cavallo dell’anno nuovo, la stampa di tutto il mondo si è occupata dell’arresto – con l’accusa di uxoricidio – per Rohan Dennis, ciclista di primo livello poi rilasciato su cauzione. La 32enne vittima Melissa Hoskins, pure lei stella del pedale, è morta sul vialetto di casa investita dall’auto guidata appunto dal marito che, secondo qualcuno, non avrebbe fatto nulla per evitare l’incidente, ma che anzi avrebbe agito con intenzione.
Ora emerge che il 33enne aveva una doppia personalità e tenesse spesso comportamenti strani e inesplicabili, sia in famiglia sia nel suo ambito professionale. Permane ovviamente, fino a indicazioni contrarie, la presunzione di innocenza: a esprimersi sulla vicenda sarà il processo previsto il prossimo mese di marzo. Anche se, naturalmente, non è che giudici e giurati riescano sempre a far chiarezza completa su certi avvenimenti – specie se di mezzo ci sono dei V.I.P. – e qualche incarto viene poi archiviato senza soddisfare nessuno, pur cercando di accontentare un po’ tutti.
Il caso più famoso, in questo senso, fu senza dubbio quello relativo alla morte di Nicole Brown, ex consorte di OJ Simpson, colui che negli anni Settanta fu il più celebre e più pagato giocatore di football americano – vincitore di ogni trofeo possibile – per poi diventare, grazie alla sua innegabile fotogenia, testimonial pubblicitario per i marchi più famosi d’America e attore hollywoodiano in film di enorme successo quando ancora era in piena attività agonistica: Radici, Inferno di cristallo, Cassandra crossing, la trilogia di Una pallottola spuntata e altri.
Nel giugno del 1994, dopo uno spettacolare inseguimento stradale mandato in diretta televisiva sulle più importanti reti del Paese, OJ (Orenthal James) Simpson fu arrestato in seguito al ritrovamento dei cadaveri della ex moglie Nicole Brown, da cui aveva divorziato un paio d’anni prima, e di un loro amico comune, probabilmente amante di lei da tempo. Al termine di un processo ovviamente ultramediatizzato, Simpson fu assolto in sede penale malgrado una moltitudine di elementi che avrebbero fatto pensare alla sua colpevolezza, ma – per uno di quei paradossi così frequenti nella giustizia americana – venne poi condannato in sede civile nella causa intentata dai parenti delle vittime un paio d’anni più tardi.
Benché baciato dalla buona sorte, OJ – che riprese a lavorare come stella del cinema e della tv – non riuscì comunque a stare a lungo lontano dai guai: nei primi anni 2000, per avere piratato il sistema di ricezione di una tv via cavo, fu costretto a pagare – fra multa e avvocati – qualcosa come 70mila dollari, mentre qualche anno dopo tornò in tribunale per quello che pareva un caso di furto con scasso in una camera d’albergo, ma che si risolse poi addirittura con una condanna a trentatré anni per rapina a mano armata e sequestro di persona nell’ambito di una finta vendita di suoi cimeli sportivi. Dietro le sbarre scontò nove calendari e, dal 2017, l’oggi 76enne ex campione è in libertà vigilata.
I pugili, si sa, spesso hanno storie personali maledette, ma quella di Carlos Roque Monzon le batte tutte. Nato poverissimo nel 1942 in un sobborgo di Santa Fé, sul fiume Paranà, e miracolosamente sopravvissuto al tifo quand’era bambino, vedrà morire per malattia cinque dei suoi undici fratelli, mentre un sesto verrà ammazzato a colpi di pistola. Cattivo e violento sul ring come nella vita privata, l’Indio Monzon – che dedicava ogni vittoria a Peron e alla patria – beveva più di Bukowski, dilapidò più quattrini di George Best e picchiò a sangue tutte le donne che ebbe. Fra i migliori pesi medi della storia della boxe – se non il più grande in assoluto – sfidò e mise al tappeto tutti i più grandi della sua epoca, difese la corona ben 13 volte (record) e si ritirò ancora in possesso della cintura a 35 anni.
Idolo sportivo assoluto degli argentini prima dell’avvento di Diego, divenne padre a 16 anni e professionista a 21: si dice che la sua prima borsa corrispondesse a ciò che suo padre avrebbe guadagnato a stento in trent’anni di lavoro. Passato dal cinema proprio come OJ Simpson – soprattutto western e ‘poliziotteschi’– ebbe molti altri figli e fra le sue compagne poté annoverare pure Susana Giménez, la Brigitte Bardot del Sud America, che come tutte le altre sventurate donne che gli stettero vicino si prese la sua dose di schiaffoni professionali. Fu proprio a causa della relazione con quell’attrice che Mercedes, una delle sue mogli, gli sparò alla spalla e all’avambraccio, incidente che comunque non gli impedì, meno di tre mesi più tardi, di affrontare e battere sul ring Emil Griffith.
La sera di San Valentino del 1988, strafatto di whisky e cocaina, picchiò la sua terza moglie – Alicia Muñiz – fino a farle perdere i sensi, poi la strangolò e infine la gettò dal terrazzo di una villa di Mar del Plata. Sarà condannato a 18 anni, poi ridotti a 11, e troverà la morte nel 1995, a 52 anni, in un incidente stradale occorsogli mentre – dopo un permesso per buona condotta – stava facendo ritorno dietro le sbarre.
Celeberrimo fu pure il caso di Oscar Leonard Carl Pistorius che, prima di finire in prima pagina per l’omicidio della fidanzata – anche in questo caso la sera di San Valentino (2013) – aveva occupato le cronache sportive per la sua vicenda di atleta senza gambe ma fermamente intenzionato a competere nelle gare di corsa veloce, grazie a speciali protesi, coi normodotati. E, fra mille polemiche, vi era pure riuscito, mettendosi al collo perfino l’argento mondiale a Taegu, nel 2011, nella staffetta 4 x 400 con la squadra sudafricana, successo a cui contribuì disputando una frazione in una delle batterie.
Lei, Reeva Steenkamp, era bellissima, la modella più famosa del Sudafrica, e pare che lui fosse geloso all’inverosimile. Fatto sta che, per la Festa degli innamorati, pensò bene di ucciderla con diversi colpi di pistola che la raggiunsero dopo aver perforato la porta del bagno della loro casa, dove forse si era rifugiata per sfuggire alle percosse che pare lui le riservasse con una certa frequenza.
Il campione sostenne di aver premuto il grilletto convinto che nella toilette si fosse intrufolato un ladro. E finì, almeno all’inizio, per essere creduto, tanto che dal tribunale venne condannato a soli cinque anni per omicidio colposo. La sentenza lasciò insoddisfatti quasi tutti, e così, nei vari gradi successivi, altri processi fecero in modo che la sua pena salisse fino a tredici anni e mezzo, con sentenza definitiva decretata dalla Suprema corte d’appello di Johannesburg nel 2017. Il caso vuole che Pistorius – che oggi ha 37 anni – uscirà dal carcere proprio dopodomani, il 5 gennaio, in regime di libertà vigilata nemmeno 11 anni dopo il delitto di cui si macchiò.