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Anja Camusso e la brama di chi vuol scoprire l’America

Nemmeno dieci anni dopo aver iniziato a navigare, la ventunenne di Minusio sogna di metter piede su un Ac40. ‘Potrebbe essere un’esperienza incredibile’

Il biglietto in tasca per la finale di Barcellona. ‘Quanto ci penso? Neanche tanto’
(Von Siebenthal)
7 luglio 2023
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S’era presentata ad Ascona quando era ormai già dodicenne con l’intenzione di capire cosa volesse dire navigare su una barca a vela. Adesso, appena nove anni dopo, Anja Camusso sogna di mettere piede a bordo di una barca di Coppa America. Come dire che nella vita le cose possono cambiare in fretta. Anche se per la ragazza cresciuta a Minusio quell’idea non sembra essere un chiodo fisso. «Quanto spesso ci penso? Neanche tanto, in realtà. Le mie giornate sono così piene... Devo andare avanti, e tra un po’ ci sono gli esami», spiega la ventunenne trapiantata a Losanna, dove studia infermieristica.

Eppure, per il talento cresciuto nello Yacht club Ascona, che sei anni fa era ancora alle prese con le regate della classe Optimist, il futuro potrebbe essere intrigante davvero. Dopo che a metà giugno, sul lago di Thun, si è illustrata nel primo dei tre appuntamenti nazionali di preselezione degli equipaggi che fra un anno saliranno a bordo degli Ac40, i nuovissimi monoscafi su cui nel 2024 si terranno le regate di Coppa America femminile e giovanile, che andranno a braccetto con l’America’s Cup vera e propria. Naturalmente, essendo al contempo giovane e donna, Anja sa che per lei potrebbe aprirsi indistintamente l’una o l’altra porta. «Addirittura – spiega – ci è stato detto che è possibile che una ragazza si cimenti in entrambe le prove. Più di questo, però, non so».

Del resto, è un po’ la stessa inconsapevolezza con cui Anja ha dovuto fare i conti prima di arrivare a Thun, dove s’è guadagnata il biglietto che le permetterà di giocarsi fino in fondo le sue carte nelle selezioni definitive in programma a Barcellona tra ottobre e novembre, quando i vertici di Alinghi Red Bull Racing decideranno la composizione dei vari equipaggi. «Mentre ero seduta in auto, sulla strada per Thun nella mia testa c’era soprattutto molta curiosità – racconta –. In effetti, mi chiedevo come sarebbero state quelle giornate, perché sinceramente non sapevamo granché di ciò che sarebbe successo. Non solo non avevamo idea su cosa ci avrebbero valutati, ma addirittura neppure sapevamo su quali barche saremmo saliti... Semplicemente, quando ho saputo delle selezioni mi sono iscritta e qualche settimana dopo ho ricevuto un’email in cui mi si diceva di presentarmi a Thun con l’abbigliamento da regata e gli indumenti per fare sport. Poi, è vero, uno avrebbe anche potuto intuire che avremmo navigato su una 69F (un nuovo monotipo con i foil dalla lunghezza di 6m90 appunto, ndr), perché è un’imbarcazione che, per modo di dire, si avvicina all’Ac40».

Tuttavia, c’è un’altra cosa di cui eri a conoscenza, e cioè che solo uno di quei 21 tra ragazzi e ragazze presenti a Thun sarebbe volato alla ‘finale’ di Barcellona: quell’uno, appunto, sei tu. Parlando di te, quelli di Alinghi hanno detto che hai impressionato tutti...

Quelle parole mi hanno aiutata a vedere che il duro lavoro fatto in questi ultimi tempi sta effettivamente pagando. Se devo essere onesta, fin quando non me l’hanno detto loro, non mi era chiaro quanto fossi riuscita a progredire nel frattempo. È una spinta non indifferente, anche a livello di autostima.

Se qualcuno ti chiedesse cos’è stato a portarti fin qui, tu cosa risponderesti?

Credo le molte ore di navigazione che stiamo facendo un po’ dappertutto. Quest’inverno siamo stati a Cagliari con un Nacra 17 (catamarano dotato di foil, entrato nel programma olimpico ai Giochi di Rio del 2016, ndr), poi abbiamo fatto le classiche regate primaverili a Palma de Maiorca e a Hyères, quindi siamo tornati in Sardegna, e fra un po’ andremo ai campionati giovanili in Belgio e a quelli Assoluti in Olanda. Stiamo lavorando molto sulla tecnica, sul portare la barca e su tutto quanto è navigazione. Fortuna che l’università mi dà la possibilità di saltare delle lezioni e ciò mi permette di accedere agli esami, perché in realtà ci sarebbe un numero massimo di assenze consentite, e io lo supero (ride, ndr). Per riuscire a conciliare tutto serve tanta disciplina e bisogna essere costanti, in tutto.

Pensando al Nacra 17, imbarcazione concepita per degli equipaggi misti, tra gli aspetti fondamentali c’è anche il peso...

Ci stiamo lavorando. Sia io, sia il mio timoniere, Andrea Aschieri, che è di Nyon, e che ho conosciuto quando navigavo su un Nacra 15. Possiamo dire che è a quel punto che per me tutto è cambiato: infatti lui stava cercando una ragazza per il Nacra 17, appunto una barca per equipaggi misti, e da lì in poi abbiamo iniziato a lavorare, il sogno delle Olimpiadi in testa. Io, però, sono piuttosto minuta, quindi devo aumentare massa e forza, ed è un duro lavoro. Il peso ideale sarebbe di 140 chili in due, e quando abbiamo iniziato eravamo un equipaggio molto leggero: diciamo che quello fisico al momento è uno dei nostri principali obiettivi...

I sogni però, a questo punto sono due: da una parte la Coppa America, dall’altra i Giochi.

Diciamo che io ero concentrata esclusivamente sulla campagna olimpica, con l’obiettivo puntato su Los Angeles 2028. Poi, improvvisamente è spuntata quest’opportunità con Alinghi: con Andrea ci siamo detti che avrebbe potuto essere un’esperienza molto arricchente per il nostro background e ci siamo iscritti entrambi. Sappiamo che sono due contesti completamente diversi, ma potrebbero anche diventare complementari.

E come l’ha presa Andrea, quando ha saputo che avevano scelto te?

L’ho visto abbastanza fiero (ride, ndr).

Se, però, adesso dovesse arrivare qualcuno e importi una scelta tra Coppa America e Giochi, tu che risponderesti?

La priorità mia e di Andrea sono le Olimpiadi, senza dubbio, e il nostro obiettivo sono quelle del 2028, perché per Parigi credo sarà difficile qualificarsi visto che, per così dire, siamo ancora all’inizio. Ciò non vuol dire, però, che non ci proveremo: la maggioranza dei posti verrà attribuita ai Mondiali assoluti, in Olanda (ad agosto, all’Aja, ndr), mentre gli altri ticket ancora a disposizione verranno assegnati a primavera.

Cosa ti immagini, invece, quando pensi alla Coppa America, un mondo che se vogliamo è un po’ l’equivalente della Formula 1, con tutti quei milioni in ballo e un sacco di fibra di carbonio a bordo?

A me la velocità piace, ed è questo uno dei motivi che mi ha spinto a candidarmi per l’America’s Cup. E mi piace anche la ricerca del limite: non conosco bene la F1, ma effettivamente credo anch’io che ci siano delle analogie sotto certi aspetti. Immagino che potrebbe essere un’esperienza incredibile, vedere all’opera tutti quei velisti davvero importanti che sono lì con l’obiettivo di spingersi oltre.

Del resto, da quando i foil più che una moda sono un’esigenza, le barche sono sempre più leggere e i materiali hanno assunto grande importanza, in un mondo sempre più lontano dalla vela tradizionale.

Già solo pensando al Nacra 17, oggi il lavoro non consiste più solo nella navigazione, ma c’è una grande parte legata alla manutenzione della barca e spetta a noi velisti. È vero che già prima uno si occupava della propria imbarcazione, ma adesso questo lavoro prende davvero tanto tempo, e parliamo di ore, anche pensando che in allenamento rompiamo delle cose. Navigando sui foil, ogni minima differenza può influire, ecco perché è fondamentale che tutto sia perfetto: anche solo un piccolo graffio può causare delle turbolenze, alterando così il flusso, che non è più regolare. Con una normale deriva non sarebbe la stessa cosa.

Cosa ricordi della tua prima esperienza su una barca dotata di foil?

La primissima uscita sinceramente non la ricordo... Tuttavia ho ben presente le sensazioni di quei giorni, perché ho vissuto delle emozioni incredibili: arrivavo dal Nacra 15, che è una barca senza i foil, e mi sono trovata davanti a qualcosa di impensabile. Ricordo tutta quell’adrenalina, perché improvvisamente tutto andava così veloce... Naturalmente (ride, ndr) la prima volta in cui siamo saliti su un Nacra 17 non avevamo il controllo della barca, ed era impegnativo anche solo trovare l’equilibrio, infatti tornavo a terra con le gambe piene di lividi...

Parliamo pur sempre di barche che volano, e quando poi atterranno, passando da una trentina di nodi a soltanto un paio, l’impatto dev’essere notevole.

Una barca con i foil già è nervosa di suo, e richiede grandissima concentrazione per tutto il tempo: ogni piccolo movimento ha il suo effetto, infatti la barca è molto più sensibile. Nel caso di un Nacra 17 ci sono quattro punti di appoggio, ovvero le due derive foil e i due timoni, e ogni piccolo cambiamento può causare un ‘crash’, quando cioè i foil escono dall’acqua e la barca cade di colpo in acqua.

Un altro mondo, rispetto all’Optimist o al Laser 4.7 con cui navigavi sul Verbano. A proposito: ricordi il giorno in cui hai iniziato?

Sì. In verità io ho cominciato abbastanza tardi: avevo dodici anni, quando decisi di prendere parte al mio primo corso di vela, ad Ascona.

E perché mai la vela?

Mio padre ogni tanto andava in barca per diletto, e qualche volta mi era capitato di andare con lui su delle chiglie, quindi barche un po’ più grandi. In realtà, però, neppure io so perché quell’estate m’ero iscritta al corso dell’Ycas. Fatto sta che è lì che è partito tutto.

Quando sono passati appena dieci anni da quel giorno, la stessa ragazza che metteva per la prima volta piede su un’Optimist oggi può legittimamente pensare di salire a bordo di un Ac40 di Coppa America. Se non è destino, questo...