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Gli Europei fanno risplendere i colori rossocrociati

Grande iniezione di fiducia in vista dell'appuntamento clou dell'anno, i Giochi olimpici di Tokyo. Ma in campo femminile, dopo Steingruber il vuoto

27 aprile 2021
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Oro, argento e bronzo! E il bottino poteva essere ancora migliore se, alla sbarra, quella presa maledetta al termine di una Collmann “que jamais il avait loupé” (parole dell’allenatore nazionale Laurent Guelzec) non avesse tradito il nostro Pablo Brägger.

Sia quel che sia, chiunque fra gli addetti ai lavori in campo rossocrociato avrebbe firmato per un simile bilancio finale.

Certo Giulia Steingruber, Pablo Brägger e compagnia bella venivano apertamente citati fra coloro che potevano ambire a un posto di rilievo in occasione di questi Campionati europei individuali (non era previsto infatti il concorso a squadre), ma a parole potremmo essere tutti campioni: per esserlo davvero devi meritartelo sul campo quando però anche gli altri non stanno certo a guardare!

Che dire dunque di questa edizione dei Campionati europei? Sarebbero parecchie le considerazioni da evidenziare. Vediamo magari le più importanti. Dapprima naturalmente quelle che ci riguardano.

Trascuro in entrata la nostra ambasciatrice per eccellenza per soffermarmi dapprima sulle prestazioni dei nostri ginnasti. Perché fra qualche mese, a Tokyo, la squadra rossocrociata sarà una delle dodici elette. Quattro, anzi cinque anni fa, a Rio terminammo in 9. posizione mancando dunque la finale riservata alle migliori otto compagini. Cosa aspettarci agli imminenti Giochi? Ecco, Basilea ha detto che le nostre ambizioni possono ancora essere concrete. Brägger, Baumann, Gischard, Pfyl sono infatti valori sicuri. Tutti e quattro potenziali finalisti di specialità nel contesto continentale (certo, anche Pfyl che si era guadagnato il diritto di essere fra i magnifici otto a parallele e sbarre se il regolamento non ammettesse solo due rappresentanti per nazioni e lui aveva comunque davanti in classifica Brägger e Baumann) e due di loro, ottimi finalisti anche nel concorso multiplo. Qui Brägger ha chiuso addirittura al 5. rango, cosa che non succedeva in campo maschile dal lontano 1954, e Baumann, senza l’inopinato incidente al volteggio (mai mi è capitato di vedere una “sfiga” simile a certi livelli) avrebbe potuto essergli molto vicino. Ora, se i nostri tecnici riusciranno a rigenerare gli acciaccati Yusof e Sehrani, ecco che il “parco giocatori” fra cui scegliere definitivamente i quattro eletti sarebbe sicuramente invidiabile. Ho detto quattro perché, per la prima volta nella storia dei Giochi, il numero dei ginnasti che comporranno le rispettive squadre è stato appunto ridotto all’unità citata. Un brutto colpo per i protagonisti delle dodici nazioni presenti: tanti pezzi da novanta infatti saranno costretti a rimanere a casa.

Individualmente, poi, tre dei nostri potrebbero recarsi in Giappone con la malcelata speranza di centrare anche una finale di specialità olimpica. Lo hanno lasciato chiaramente intendere le gesta dei nostri eroi di Basilea.

Nel dettaglio e in ordine di apparizione: al suolo Gischard mi ha letteralmente entusiasmato. Si è dovuto inchinare allo strapotere di sua maestà Nikita Nagorny, ma faccio notare che a livello di esecuzione la giuria ha dato la migliore valutazione al rossocrociato. Nagorny, dunque, ha vinto perché disponeva di un quoziente di partenza stratosferico (il suo triplo salto carpiato con il quale ha iniziato la sua prova lascia a dir poco sbigottiti), ma al termine, meno di due decimi separano i due campioni. Come non immaginare, dunque, il nostro fra i migliori otto ai prossimi Giochi?  Lui in primis deve assolutamente crederci, solo così si possono raggiungere certi risultati (chiedere a Giulia eventualmente…). 

Dal canto suo, Baumann alle parallele si è dimostrato capace di andare oltre i quindici punti. Punteggio da sogno, non certamente regalato perché l’argoviese “giocava in casa”. In finale a Basilea è stato l’ultimo a salire sull’attrezzo dopo che cinque finalisti in particolare erano stati superlativi ottenendo note elevatissime. Poteva subentrare un pizzico di “svizzeritudine”, di quel senso di arrendevole inferiorità che uccide la prestazione. Invece niente di tutto ciò. Significa che Baumann oltre che di tecnica è dotato (finalmente) anche di un grande mentale: quello che ci vuole per essere ambiziosi.

Infine, Brägger. Il più virtuoso fra i finalisti presenti alla sbarra, colui che più di altri avrebbe meritato l’oro in quella specialità, perché il suo esercizio è il più completo, il più bello senza ombra di dubbio e senza pericolo di peccare di parzialità. Purtroppo il rischio insito nelle sue continue evoluzioni acrobatiche stavolta lo ha tradito. Ma rimane intatta la consapevolezza che fra gli europei è il primo indiziato per un posto al sole giapponese.

E ora Giulia Steingruber. La sangallese è stata stoica. Sofferente da qualche tempo per un risentimento a una coscia, ha stretto i denti ed è riuscita a qualificarsi per le tre finali che aveva nel mirino: multiplo, volteggio e suolo. Poi, però, medici e allenatore hanno optato per la prudenza, puntando tutto solo nella specialità in cui Giulia aveva le migliori probabilità di imporsi. Decisione saggia, assolutamente giustificata, anche se un po’ dolorosa per l’atleta stessa e per chi la vorrebbe vedere sempre primeggiare. Rischiare di rovinare una ideale preparazione per Tokyo magari a beneficio di un posto fra le dieci nel multiplo e di un 4. o 5. posto nella finale al suolo (tali erano realisticamente le previsioni della vigilia) non è sembrato proprio il caso.

Comunque, la Steingruber al volteggio è stata imperiale. Efficace come in occasione del bronzo olimpico di Rio e decisamente inattaccabile dalle altre finaliste a livello di coefficienti di partenza. A posteriori, una finale senza storia, scontata direi, vista la supremazia della nostra rappresentante ma, l’ho detto in entrata, innanzitutto la neo campionessa europea doveva portare a termine il suo impegno senza errori.

La rincorsa a una nuova impresa a Tokyo è stata dunque lanciata nel migliore dei modi dalla nostra regina, ora v’è solo da augurarci che la preparazione all’evento olimpico proceda nel migliore dei modi.

E fin qui, doverosamente, solo considerazioni positive. Per concludere la panoramica relativa alla nostra realtà, non posso però esimermi, purtroppo, dall’esternarne una un po’ meno esaltante. In campo femminile rossocrociato, infatti, Giulia Steingruber è troppo sola. È l’unica nostra rappresentante di valore, l’unica, dopo l’uscita di scena della chiassese Ilaria Kaeslin, ad avere reali possibilità di emergere in campo internazionale. In altre parole, non riusciamo a costruire una squadra di valore che sappia avvicinare le gesta dei colleghi maschi. Cosa succederà quando la Steingruber deciderà di chiudere l’attività agonistica (potrebbe anche essere dopo Tokyo)?

La nuova dirigenza elvetica (è cambiato il presidente Fsg, ora è il chiassese Fabio Corti, è cambiato il direttore della Federazione, è cambiato il capo del settore élite) unitamente agli allenatori nazionali, appare decisa a trovare le giuste misure e le corrette strategie per dare al settore quella solidità che si aspetta da tempo. Dopo le recenti turbolenze che sembrano sempre più alle spalle, ora si vuole solo guardare al futuro con ottimismo e voglia di ridare slancio.

Infine, una veloce considerazione più generale. Per dire innanzitutto che la Russia è apparsa sempre più nazione faro del contesto europeo in entrambi i settori. Da un lato Nagorny si è vieppiù riconfermato un mostro di bravura, dall’altro la giovanissima Listunova ha mostrato quanto il serbatoio russo sia inesauribile. È pure parso evidente quanto questo Europeo sia comunque stato condizionato dalla vicinanza dei Giochi: la programmazione di parecchi atleti è parsa più finalizzata all’evento giapponese che non a quello elvetico. Ciò nonostante lo spettacolo non è mancato così come la conferma che tanti nuovi talenti si profilano all’orizzonte europeo, in primis i giovani azzurri che, dopo lo smacco dell’esclusione olimpica, si stanno riattrezzando per ritrovare il prestigio di qualche stagione fa.