Il ticinese, che in Polonia correrà i 400m, tra emozione ed esperienza: ‘Così così nei precedenti Campionati, ora voglio dimostrare a me stesso di essere maturato’
È stata una vigilia con brivido. Poi passato, una volta ricevuto l'esito del tampone. «Negativo, per fortuna» ci dice Ricky Petrucciani, con un sollievo che esce dal telefono. A pochi giorni dall'inizio dei Campionati europei di atletica, che si svolgono a Torun da venerdì 5 a domenica 7 marzo, il ventenne di Mosogno si è trovato a dover fare i conti con una forte tosse. E la preoccupazione di dover rinunciare all'appuntamento che si era guadagnato a passo di corsa, se il malanno si fosse rivelato sintomo del coronavirus.
Mercoledì mattina è dunque potuto partire per la Polonia, rassicurato e più in forma. «Ho ancora un po' di tosse, ma sta sparendo - ci aveva riferito martedì -; per il resto sono tranquillo: sento che il mio corpo, tutto sommato, sta bene ed è pronto».
Per il ticinese, questa è la seconda partecipazione a una manifestazione continentale indoor; la quarta in totale (tra Europei al chiuso, all'aperto e per team) dopo Berlino, Bydgoszcz e Glasgow. Oltre a tre partecipazioni giovanili, «ma quelle sono tutt’altra roba», ride.
Come è stato il tuo percorso di avvicinamento a questo appuntamento?
A gennaio fortunatamente siamo riusciti a fare il campo di allenamento alle Canarie. Al ritorno ho preso parte a due gare ravvicinate, in preparazione ai Campionati svizzeri. La prima (in cui avevo corso, oltre ai 400m, anche i 60 e i 100) era andata abbastanza bene; mentre nella seconda non ero riuscito a dare ciò che avrei potuto. Ai Campionati nazionali, invece, ho tirato fuori un buon tempo.
Sei dove ti sarebbe piaciuto essere, a livello di prestazioni o obiettivi?
Sì. L’obiettivo era di finalmente scendere sotto i 47 secondi, anche perché ero fermo a 47”14 da ormai tre anni. Ce l’ho fatta, correndo in 46”82 in finale ai Campionati svizzeri. Purtroppo non mi è bastato per conquistare il titolo (sarebbe stato il quarto consecutivo, ndr), ma fa nulla; questo fa parte dello sport. La gara è andata come volevo, solo che non è arrivata la vittoria.
Da Torun tornerai soddisfatto se…?
Anzitutto il primo turno, venerdì mattina, bisogna riuscire a passarlo. Diciamo che per me, visto il tempo che sono riuscito a fare agli Svizzeri, il minimo sindacale è superare quello. Poi, il meglio del meglio sarebbe superare anche la seconda qualificazione, in programma venerdì sera, per arrivare così in finale: è dura, ma è un obiettivo realistico, non fuori da ogni portata. Dopo di che la finale, che si svolgerà sabato sera, è una gara a sé. Per certi versi si ricomincia da zero e ci si gioca tutto.
Alla vigilia di un appuntamento del genere, si prova sempre emozione anche se non è la prima partecipazione?
Certo, c’è sempre un po’ di emozione. In primis, perché ti rendi conto che vai a rappresentare la tua nazione: è bello portare fuori dai confini il nome del proprio Paese, in questo caso in Europa. In secondo luogo, quando sai che hai delle buone carte in mano per fare un bel campionato, è chiaro che l’esperienza accumulata aiuta. Dopo che le prime volte mi era andata così così, quest’anno sono il primo ad aspettarmi da me stesso di essere maturato e di non rifare gli errori commessi in passato.
Cosa era andato così così ai tre Europei precedenti?
Forse l’emozione aveva giocato un ruolo. Mi ricordo che agli Europei indoor di due anni or sono, dov’ero il più giovane della delegazione rossocrociata, ero stato il primo degli svizzeri a gareggiare e quello mi aveva messo addosso un po’ di pressione. Adesso, invece, avverto molto meno peso nei giorni che precedono i campionati e mi sento molto più sicuro rispetto alle possibilità che ho.
Cosa ti fa sentire più sicuro dei tuoi mezzi?
Come ho corso negli ultimi tempi; sapere di essere preparato; sentire di essere in forma, tralasciando il po’ di tosse che rimane. So che posso giocarmela e questo mi rende più tranquillo.
A Torun riuscirai a vedere qualche gara dei tuoi compagni di squadra?
È proprio quello che in questi giorni ci chiedevamo con Filippo (Moggi, altro ticinese pure convocato nei 400m, ndr). Perché - sorride - benché in televisione si vedano meglio le competizioni, assistere alle gare dal vivo è davvero tutta un’altra cosa. Speriamo di poter andare a sostenere i nostri compagni. Ma quando io avrò finito con i miei impegni, perché prima il focus è assolutamente solo sulla mia gara.
A fine 2017, avevi diciassette anni, hai lasciato il Ticino per vestire i colori della società Lc Zurigo. La nuova e più grande dimensione ti ha dato ciò che cercavi?
Sinceramente sì. Non sono però arrivate subito, le cose che cercavo; e forse non sono arrivate ancora tutte. Però ritengo di avere fatto il passo giusto: credo nel lavoro che stiamo portando avanti con il mio allenatore e i miei compagni, perciò molto presto giungeranno anche i risultati che sto rincorrendo.
Quali sono i risultati che stai rincorrendo?
Uno, che è molto vicino nonostante appaia lontano, è quello dei Giochi olimpici. Per il resto, beh direi in generale cercare sempre di migliorarmi. Però questa volta, migliorare più in grande. Così come un mio compagno l’anno scorso ha abbassato di mezzo secondo il suo tempo sui 200m, io mi aspetto di farlo nei 400, per riuscire a giocarmela in qualsiasi gara a livello europeo e mondiale.
Indoor è forse un po' più semplice, perché gli ultimi 50 metri si va alla corda come negli 800m, perciò entra in gioco anche un po’ di tattica. Ma mi aspetto di progredire finalmente anche io nelle gare all'aperto, come hanno già fatto i miei avversari di pari età nel resto dell’Europa.
Cosa ti è mancato, finora, per poter compiere questo salto?
Il lockdown di un anno fa, non mi ha aiutato. Ho dovuto allenarmi da solo, e già di per sé gli allenamenti dei quattrocentometristi non sono i più semplici, soprattutto mentalmente. Penso che fossi arrivato a un punto in cui non riuscivo più a concentrarmi bene; forse perché avevo fatto troppa preparazione oppure mi mancava la condizione… Sinceramente non so dirti davvero perché. Inoltre l’incognita relativa a quando si sarebbe tornati a gareggiare, non è stata facile da gestire. L’estate scorsa si è passati dal non sapere se ci sarebbero state competizioni, a correre tantissimo in un mese. Questa situazione è stata molto faticosa.
Da quest’anno credo di avere ritrovato la capacità a focalizzarmi. Inoltre quando mi sono spostato a Cham, per allenarmi all’Oym, sapevo che ci sarebbero state delle gare indoor. Avere degli appuntamenti agonistici in programma, rende tutto assai più semplice in termini di programmazione e di motivazione: perché sai per cosa stai facendo lo sforzo. Al contrario, trovare gli stimoli è complicato.