Andrea Rinaldi, direttore di gara Fis per freestyle e aerials, ci racconta l'odissea vissuta per ispezionare le strutture dei Giochi di Pechino 2022
Una cena da asporto appena consegnata e pronta per essere consumata nella camera di un hotel. Descritta così, potrebbe sembrare la scena perfetta di una vacanza rilassante quella in cui si è ritrovato Andrea Rinaldi, che però per ritirare il suo pasto dalle mani di un fattorino bardato dalla testa ai piedi di tutte le protezioni possibili ha dovuto indossare guanti, mascherina e occhiali protettivi. E per arrivarci, in quell’albergo di Pechino isolato dal resto del mondo, ha vissuto una sorta di odissea che ci ha raccontato mentre ancora si trova in Cina, dove la pandemia di coronavirus è partita e dove, dopo averla quasi completamente debellata, non hanno nessuna intenzione di farla tornare.
«Sono arrivato in Cina sabato con una delegazione del Cio e della Fis per ispezionare le strutture delle Olimpiadi del 2022 per quel che riguarda il freestyle – ci racconta il 48enne ticinese, che dopo una vita ai vertici del freestyle rossocrociato (in particolare nel settore delle gobbe) dallo scorso aprile è divenuto nientemeno che il Fis Freestyle Moguls and Aerials Race Director, ossia colui che si occupa principalmente di coordinare e supervisionare gli eventi delle due discipline, che si tratti di gare di Coppa del Mondo, Mondiali o appunto Giochi olimpici –. È stato un viaggio piuttosto laborioso. Sono partito sabato da Zurigo in direzione Francoforte, dove siamo tutti stati sottoposti a un test Pcr, un tampone, per autorizzare l’entrata in Cina. Dopo cinque ore abbiamo avuto il risultato e hanno approvato il volo, effettuato con un Airbus A330 sul quale eravamo una trentina di persone (tale modello ha una capacità di oltre 400 passeggeri, ndr). E lunedì mattina siamo infine arrivati a Pechino».
Dove se possibile le misure di protezione si sono ulteriormente intensificate… «Al nostro arrivo ci hanno nuovamente sottoposto a svariati test e una volta ritenuti sani, ci hanno portato in albergo e inserito in una vera e propria bolla, dalla quale ci prelevano solo per andare a ispezionare le piste e le strutture o per partecipare alle riunioni. Il tutto sempre in massima sicurezza e senza permetterci di avere contatti con l’esterno e con le persone locali, chi si avvicina a noi è protetto con tuta anticontaminazione e anche la cena la riceviamo in camera con mille precauzioni. Ingenuamente la prima sera ho pensato di uscire per andare a fare una corsetta da solo, ma arrivato nel cortile dell’albergo mi sono reso conto di non poterlo fare, è tutto recintato e le uscite sono controllate. Malgrado ci siamo sottoposti a più test, ci trattano come degli infetti e per certi versi ci sentiamo un po’ prigionieri, ma d’altro canto capisco le ragioni di tali misure».
Misure messe in atto dalle autorità locali per proteggere dal coronavirus Rinaldi e i suoi compagni di viaggio, ma anche (soprattutto) per tutelare il Paese e i suoi cittadini. Già, perché dopo essere stata l’epicentro e il punto di partenza della pandemia di Covid (in particolare la città di Wuhan), la Cina è come detto quasi riuscita a eliminare il virus dal suo territorio, sul quale si contano attualmente una trentina di nuovi casi al giorno (attorno a 400 il totale, ndr), ma quasi tutti importati dall’estero… «Penso che sia uno dei pochi Stati al mondo senza praticamente casi indigeni di contagio e questo grazie proprio a una politica molto restrittiva che porta a pochi ingressi nel Paese. Chi vuole entrare in Cina deve rimanere 14 giorni in quarantena in una struttura statale e per ulteriori 7 a casa o in albergo. Passati questi 21 giorni, in caso di assenza di sintomi sei ritenuto sano e puoi circolare liberamente. Tanto che in giro ho visto davvero poche persone con la mascherina e anche le distanze non vengono rispettate più di tanto, proprio perché come detto il virus è quasi scomparso. E l’ultima cosa che vogliono è che torni a circolare, per questo noi che non abbiamo effettuato i 21 giorni di quarantena, siamo stati inseriti nella bolla».
Una situazione di isolamento quasi totale però difficilmente ripetibile con numeri più grandi e questo pone innanzitutto un problema a corto termine... «Come da tradizione, l’anno prima dei Giochi, i Mondiali di freestyle e snowboard si dovrebbero tenere nella sede delle Olimpiadi quale prova generale. Attualmente sono in programma a metà febbraio (dal 15 al 28 a Zhangjiakou, circa 200 chilometri a nord-ovest di Pechino, ndr), ma su di essi c’è un grande punto interrogativo, perché solo a livello di atleti e staff parliamo di circa 1’400 persone e posto che non possiamo porre in quarantena tutti per 14 giorni (ne chiediamo al massimo 3), mettere in piedi un sistema di bolla come quello in cui ci troviamo noi sarebbe, anche per i cinesi, una bella impresa. Da una parte devono tener conto di quanto chiede il governo a livello di protocolli, dall’altra le nostre richieste in quanto Fis, ossia in primis la tutela della salute degli atleti, lo svolgimento regolare delle gare e la partecipazione possibile per tutti, senza escludere atleti magari di nazioni più in difficoltà a livello di coronavirus. Se ne sta discutendo, ma in ogni caso per ora non abbiamo ricevuto segnali di una possibile rinuncia da parte degli organizzatori, che andrebbero oltretutto incontro a costi non indifferenti visto che ci sono di mezzo contratti di sponsorizzazione importanti e i diritti televisivi».
Un eventuale annullamento potrebbe causare anche qualche grattacapo in chiave Olimpiadi 2022 (programmate dal 4 al 20 febbraio a Pechino e dintorni)... «Da regolamento gli organizzatori dei Giochi devono svolgere i “test event” ed è per questo che come noi per il freestyle, in questi mesi altre delegazioni stanno visitando le varie strutture, ad esempio le piste delle discese nello sci alpino (due gare di Coppa del mondo femminile sono in programma sulla pista di Yanqing a fine febbraio, ndr) o i trampolini del salto nello sci nordico. E se per quel che riguarda il moguls e l’aerials – le mie due discipline – i cinesi hanno grande esperienza e un know-how tale da permettere loro di creare delle piste con i fiocchi e soprattutto sicure, per discipline come appunto lo sci alpino o lo skicross le prove generali sono davvero importanti. Sono certo però che verranno trovate le soluzioni per arrivare pronti all’appuntamento a cinque cerchi».
Sì, perché nel paese governato da Xi Jinping nessuno vuole sentir parlare di un possibile rinvio o peggio ancora di annullamento del grande evento… «Da questo punto di vista qui sono molto tranquilli, anche perché la speranza è che ora del 2022 questa emergenza sanitaria sarà ormai alle spalle. Inoltre a livello organizzativo i cinesi non sono secondi a nessuno. Certo il Covid ha un po’ rallentato i preparativi, ad esempio questo sopralluogo avremmo dovuto effettuarlo lo scorso aprile, ma il tempo che hanno perso in cinque mesi lo hanno recuperato in 4-5 settimane facendo un lavoro immane e consegnando, per quel che riguarda il freestyle, delle strutture incredibili».
Tornando al problema dei prossimi Mondiali nonché banco di prova per il freestyle dei Giochi del 2022, una soluzione potrebbe essere legata alla nuova stagione di Coppa del mondo… «Trovare un piano B non è facile, i Campionati del mondo di freestyle e snowboard raggruppano trenta eventi di quindici discipline diverse tra uomini e donne, quindi parliamo di due settimane di programma che difficilmente qualcuno con soli 3-4 mesi di preavviso è pronto a sobbarcarsi. Gli unici forse a poterlo fare sarebbero gli organizzatori dell’edizione precedente, in questo caso gli Stati Uniti (Deer Valley/Park City nel 2019, ndr), ma al momento non sembra una strada percorribile. Piuttosto una soluzione potrebbe essere quella di scorporare la manifestazione e riassegnare le varie gare dove sono già previste delle tappe di Coppa del mondo».
Una stagione quella del freestyle (per il moguls al via il 4 dicembre da Ruka) che come tutto lo sport sarà confrontata con le difficoltà legate alla pandemia di coronavirus, tra protocolli sanitari e restrizioni (in particolare a livello di pubblico)… «Di certo non sarà evidente, ma il nostro obiettivo è portare avanti una stagione che sia il più regolare possibile, sempre mettendo al primo posto la salute delle persone, tanto che ogni atleta ha un passaporto Fis nel quale sono riportati tutti gli esami sanitari effettuati. C’è da dire che a differenza dello sci alpino noi non possiamo decidere di disputare tutte le gare in Europa, in quanto il freestyle è molto popolare anche in Asia e in America ed è storicamente legato a quattro continenti. Senza contare che come per le altre discipline meno ricche è difficile raddoppiare o ricollocare una gara. A complicare ulteriormente le cose c’è il fatto che la situazione varia non solo da continente a continente, ma anche da nazione a nazione. Ad esempio al momento in Finlandia le disposizioni permettono la presenza di un pubblico fino a 500 persone e prevedono, dopo aver presentato un test negativo nelle 72 ore precedenti all'arrivo, una quarantena attiva – nella quale ci si può allenare ma non andare per negozi o al ristorante – di tre giorni, che non è male. In Svezia invece sono meno restrittivi sotto l’aspetto dei test, ma di più per quel che riguarda gli spettatori, con le due gare di metà dicembre che si disputeranno a porte chiuse. Nonostante tutto però al momento a livello di calendario non siamo messi così male, escluso forse qualche incertezza in più sulle gare in Canada – che ha una politica molto restrittiva e impone ancora una quarantena di quindici giorni – e su quelle proprio in Cina e in Giappone successive ai Mondiali. Ogni giorno però la situazione cambia, per cui fare previsioni è davvero difficile, l’unica cosa che possiamo fare è studiare più possibilità in modo da essere il più flessibili possibile. In ogni caso per assegnare la Coppa del mondo il regolamento richiede la disputa di almeno tre gare (regola presente da sempre, ndr) alle quali devono poter prendere parte almeno sette delle dieci nazionali più forti (regola aggiunta “post-Covid”, ndr)».
Quel che è certo è che il lavoro per Andrea Rinaldi non è mancato nel suo primo da direttore di gara della Fis… «Avrei decisamente potuto scegliere un anno migliore per iniziare, ma come dico sempre, se sopravvivo a questo poi la strada sarà in discesa».
Con qualche gobba, certo, ma sicuramente meno insidiosa del Covid.