Tecnologia

Amore e odio di una vita (perennemente) online

I grandi benefici dell’avvento di Internet a portata di mano sono oggi parzialmente offuscati dai suoi lati negativi. Un equilibrio è possibile?

Oggi sembra quasi impossibile staccarsi completamente dai nostri alter ego digitali
(depositphotos)

Non siamo ancora al dilemma amletico di shakespeariana memoria, ma è ormai chiaro che per l’essere umano del terzo millennio la questione iniziale dell’era Internet – se sia giusto o semplicemente utile passare al digitale, dunque avere una vita anche online – si è ormai trasformata nel suo opposto: è ancora possibile, ed eventualmente entro quali limiti, rimanere scollegati, dunque passare la vita o per lo meno buona parte di essa offline?

Tralasciando la questione, comunque non secondaria, dei possibili effetti negativi (che ci sono, inutile negarlo, e per questo sono sempre più studiati) sulla nostra vita sociale e sul nostro modo di pensare e agire e quelli (esistenti e studiati anche questi) potenzialmente forieri di miglioramenti per lo sviluppo dell’umanità, è indubbio che oggi, per lo meno nel mondo occidentale postindustrializzato, sia pressoché impossibile rimanere del tutto avulsi da qualsiasi forma diretta o indiretta di digitalizzazione.

La terza via

Per questo l’attenzione degli studiosi è gradualmente passata dall’indagine sul dualismo degli inizi alla ricerca di una possibile integrazione fra gli opposti, ossia fra vita online e vita offline, analizzandone sì aspetti positivi e rischi, ma prospettando alla fine una possibile “terza via”, dando per assodato che Internet, come qualsiasi altro artefatto creato dall’uomo, abbia aspetti di limitazione e/o di potenziamento a dipendenza di come viene utilizzato e dei motivi che sottendono tale utilizzo. L’obiettivo, o forse è meglio dire la speranza, è che alla lunga anche gli strumenti che il mondo digitale sforna a getto continuo e ci mette a disposizione possano diventare, alla stregua di forbici, occhiali o qualsiasi altro strumento meccanico, degli “organi funzionali”, ossia utensili che siano delle estensioni fisiche e/o mentali dell’uomo che ne amplino le capacità e/o ne colmino eventuali deficit.

In quest’ottica dunque importa poco che Internet sia un organo funzionale che sostiene o potenzia le nostre abilità o, al contrario, che possa diventare, come qualsiasi altra forma di dipendenza, ostacolo ai rapporti sociali e nella vita di tutti i giorni: il punto è che ormai, volenti o nolenti, grazie alla crescente portabilità degli applicativi (smartphone, smartwatch, smartglass…) tutti noi siamo costantemente connessi alla rete, e con questa realtà dobbiamo convivere.

Proposte concrete che nascono da un bisogno

Interessante a questo proposito, e al contempo paradossale visto chi è l’autore della proposta, il fatto che recentemente la sezione zurighese del Partito Pirata svizzero abbia depositato un’iniziativa cantonale “per l’integrità digitale”. Obiettivo, oltre a difendere la protezione dei dati degli utenti, concedere a chi lo desidera la possibilità di vivere senza smartphone e affini, ossia offline. Interessante anche il fatto che nel 2023 nel canton Ginevra fosse stata presentata e votata una proposta analoga: bulgaro il risultato, con il 94% dei votanti favorevoli; ignote al momento le conseguenze pratiche.

Interessante anche, e paradossale visto il risultato della votazione ginevrina, che in psichiatria sia stato coniato il termine nomofobia (“no mobile phobia”) per definire la paura di dimenticare o perdere il cellulare o comunque essere per qualsiasi ragione scollegati dalla rete, paura che parrebbe principalmente dovuta al fatto di non sentirsi più in contatto con il mondo e che la grande maggioranza di noi almeno una volta nella vita ha provato.

Un impulso di attrazione-repulsione tra digitale e analogico che evidenzia, oltre quanto vita online e vita offline siano ormai strettamente intrecciate, pure quanto l’integrazione fra ciò che siamo e facciamo nella prima e ciò che siamo e facciamo nella seconda necessiti ancora di un processo di adattamento. Quanto lungo e se definitivo è tutto da scoprire. Anche perché non bisogna dimenticare che “i nostri dispositivi elettronici risultano così psicologicamente potenti che cambiano non solo quello che facciamo, ma anche quello che siamo” (Sherry Turkle, del Mit), per cui può non essere inverosimile che questa evoluzione dipenderà anche da quella delle macchine. E viceversa.

L’intervista

Il digitale: ‘una protesi molto potente’

Per il professor Lorenzo Cantoni, direttore dell’Istituto di tecnologie digitali per la comunicazione dell’Università della Svizzera italiana, l’evoluzione digitale degli ultimi trent’anni nel mondo occidentale è chiara. “A metà degli anni 90 – ci spiega – quando si accedeva a Internet si usava l’espressione “vado online”, come ci fosse una frontiera fra questi mondi, e per accedervi bisognasse compiere un percorso, anche reale visto che spesso ci si doveva spostare alla postazione Internet per collegarsi”. La svolta si è avuta nel 2007, con la diffusione degli smartphone. “Da allora abbiamo con noi uno strumento che ci permette di essere sempre collegati. Questo ha ribaltato completamente la prospettiva, perché non devo più effettuare un atto di volontà tecnico e fisico per passare all’online, ma al contrario devo farlo per tornare offline”. Un atto non dei più facili, come ben sappiamo, tant’è che molti cercano di praticare periodi di “detox digitale”.

E ci sono addirittura persone “che viaggiano in luoghi non digitalizzati per, letteralmente, staccare la spina. Perché, paradosso contemporaneo, “vacanza” deriva dal verbo latino “vacare”, ossia essere libero, mancante. Della mia vita quotidiana ovviamente, da cui voglio evadere per un più o meno breve periodo.Ma se ho con me il telefonino, ecco che di fatto ho portato con me tutto il mio vissuto: contatti, amici, parenti, lavoro…”. Con buona pace dell’agognato riposo.

Se dunque una volta vivevamo in due mondi distinti (sempre offline con possibili e più o meno frequenti viaggi online), oggi viviamo “in un mondo ibrido – prosegue il vicedecano della Facoltà di comunicazione, cultura e società – in cui manteniamo un’esperienza offline comunque importante ma sempre più mescolata con quella digitale”. Ci sono addirittura “dei varchi spazio-temporali come i codici Qr”, quelli che ad esempio si trovano nei musei e che ci permettono di visitare appunto virtualmente altri luoghi.


Ti-press
Lorenzo Cantoni, vicedecano della Facoltà di comunicazione, cultura e società

L’obiettivo: un equilibrio solido

Praticamente dunque impossibile disconnettersi del tutto. Una novità rispetto agli strumenti finora inventati dall’uomo, impugnati solo in caso di reale utilizzo. Necessario dunque “trovare un equilibrio: ogni protesi ci aiuta, ma dobbiamo comunque imparare a usarla. Il digitale è simile: è una protesi molto potente che dobbiamo imparare a utilizzare. Come in precedenza abbiamo dovuto fare con la televisione per evitare di passare ore davanti a uno schermo”.

Lo smartphone, tuttavia, è molto più pervasivo. “Merito anche di questa tecnologia, che è davvero universale, ormai molto poco telefono e moltissimo tutto il resto (ufficio, fonte di informazione, allenatore, suggeritore, stimolatore dell’ego con i social…). Ci troviamo di fronte a una macchina estremamente versatile e multiforme in cui convergono tantissime cose. Ad esempio tutti i media – il telefonino è contemporaneamente giornale, radio, tv, cinema, impianto musicale… – per cui che necessità ho di utilizzare altri strumenti? Ho bisogno di staccare fisicamente per leggere, ascoltare, guardare oppure possono farlo qui, in questo momento, da questo piccolo schermo che porto sempre con me?”.

Senza dimenticare che ormai è impossibile vivere senza il digitale. Non tanto per i contatti personali, quanto “per le necessità delle amministrazioni sia pubbliche che private e del sistema bancario”. In effetti il telefonino “è diventato uno dei mezzi più certi di identificazione personale (se quel telefono è usato è altamente probabile che chi lo stia utilizzando ne sia il legittimo proprietario)”. Da qui i sistemi di sicurezza che prevedono l’autenticazione a due fattori.

Esclusione, disinformazione e superficialità

Un telefonino quindi sempre più “passaporto” e mezzo per accedere ai servizi. Rovescio della medaglia, chi non ce l’ha, foss’anche per questioni economiche, o non è in grado di utilizzarlo, rischia l’esclusione.

Sorpresa, “non è detto che i nativi digitali se la cavino meglio dei cosiddetti migranti digitali (la generazione nata prima di Internet, ndr)”; in alcuni casi anzi “i primi sono molto più ingenui rispetto ai secondi, proprio perché manca loro il confronto tra i due mondi, tra il prima e il dopo. È un po’ come conoscere una sola lingua o due o più: manca, o rischia di mancare, la percezione delle sfumature, della complessità del mondo e delle cose. Ci si accontenta delle prima risposte, magari quelle trovate sulla prima pagina di Google, e si tralascia tutto il resto”.

Si apre quindi il tema “della formazione e dell’educazione” delle future generazioni, perché “il rischio di avere delle persone tecnologicamente molto bene attrezzate ma con un’alfabetizzazione informativo-digitale bassissima è molto forte”. E che, “oltre la disinformazione (che c’è sempre stata) e le “verità alternative” si creino dei mondi paralleli difficilmente distinguibili da quello reale”. Questione di gerarchia e affidabilità delle fonti.

Si tratta di “una grande e importantissima sfida” che Cantoni si dice convinto che sia “possibile vincere”, purché si impari che “anche nel digitale non tutto ha lo stesso valore” e che si riconquisti, “un po’ socraticamente, l’umiltà di ammettere che sono molte di più le cose che non sappiamo rispetto a quelle che sappiamo”. Non crede per contro alla necessità “di un intervento dello Stato che ci dica orwellianamente cosa è vero e cosa falso, che può portare a situazioni assai poco democratiche”; meglio appunto implementare “processi educativi” appositi. E ancora tutti da inventare.

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