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Telegram, app contro la censura o strumento in mano al crimine?

Server in vari Paesi con leggi diverse e nessuna moderazione sui contenuti: queste le peculiarità del sistema di messaggistica ritenuto fra i più sicuri

Immagine di archivio
(Keystone)
27 agosto 2024
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L’arresto, nei giorni scorsi, del fondatore di Telegram Pavel Durov ha scatenato un dibattito sui social, dove gli utenti si sono divisi, come spesso accade, in due fazioni: c’è chi accusa le autorità francesi di attentare alla libertà di parola e di informazione e di voler mettere a tacere le voci critiche a cui le particolari regole di criptaggio dell’app consentono di mantenere l’anonimato, e chi, invece, condivide la necessità di porre fine agli abusi perpetrati quotidianamente su Telegram, in particolare quelli legati alla pedopornografia e al traffico di droga.

Come chiarito nei giorni scorsi dalla procuratrice francese Laure Beccuau, il fermo di Durov si inserisce in un’inchiesta più ampia, avviata lo scorso 8 luglio a carico di ignoti proprio per questo tipo di reati compiuti sulla piattaforma: il fondatore di Telegram, nel contesto dell’indagine, è sotto accusa per non aver collaborato con gli inquirenti per facilitare l’identificazione dei responsabili. Ma perché Telegram, oltre ad avere la reputazione di app più sicura rispetto a WhatsApp, viene spesso utilizzato per le attività illegali?

Per prima cosa, Telegram utilizza un suo algoritmo di crittografia, MtProto 2.0, e le chat funzionano in modo diverso a seconda che si tratti di chat “normali” o di chat segrete. In quest’ultimo caso, viene utilizzata la crittografia end-to-end o client-client: per spiegarlo in modo semplice, i messaggi vengono criptati con una chiave pubblica, ma le chiavi per decifrarli risiedono sui dispositivi degli utenti, dunque le comunicazioni si svolgono direttamente fra i due telefoni senza lasciare tracce su altri server. In sostanza, le chat possono essere lette solamente accedendo direttamente ai singoli dispositivi, ad esempio con un provvedimento di confisca, e non a un server. Le altre chat, invece, avvengono in modo server-client: i messaggi scambiati fra i due interlocutori, in sostanza, passano (anche) dai server di Telegram dove vengono memorizzati in modo crittografato e resi disponibili sui dispositivi. In questo modo, però potrebbero in teoria anche essere letti, mentre WhatsApp, invece, utilizza sempre la crittografia end-to-end per ogni tipo di chat.

Server sparsi per il globo, le difficoltà per le autorità

E allora perché usare Telegram? Come spiegato dallo stesso Durov nel 2017, la differenza sta nel modo in cui le due app conservano gli archivi delle chat: WhatsApp salva la cronologia delle chat su servizi di terze parti come Apple iCloud e Google Drive, da dove vengono poi scaricate sui singoli dispositivi ad ogni nuova connessione. Telegram, invece, crea i backup delle chat sui propri cloud, così che è possibile accedere alle chat da qualunque dispositivo. Meta, società titolare di WhatsApp, a dire di Durov, scarica così la responsabilità per la protezione dei dati archiviati su società esterne ad essa, come appunto Apple e Google.

E qui sta una delle differenze fondamentali a livello legale: Telegram conserva le chiavi per decifrare i messaggi criptati, divise in parti e separate dai dati protetti, su propri datacenter posti in diversi Paesi, e sottoposti dunque a diverse giurisdizioni. In pratica per costringere l’azienda a consegnare qualunque dato sono necessarie complesse rogatorie internazionali con la collaborazione di più di uno Stato: “Telegram può essere costretta a cedere i dati solo se un problema è abbastanza grave e universale da passare il vaglio di diversi sistemi legali in tutto il mondo”, si legge nelle faq. L’app di Durov afferma di avere finora divulgato “0 byte di dati degli utenti a terze parti, compresi i governi”: il fondatore, al riguardo, sostiene che, al contrario, solo nel 2017 “Apple ha soddisfatto l’80% delle richieste di dati da parte del governo cinese”. Solo nel caso di sospetti di terrorismo Telegram si dice disponibile a rivelare alle autorità di polizia, su richiesta, il numero di telefono e l’indirizzo Ip dell’utente: ciò che, come afferma l’azienda, finora non è mai avvenuto. Inoltre il traffico dati delle chat “normali” e di quelle segrete è misto: non è dunque possibile, ad esempio, individuare chi utilizza le chat segrete perché, magari, ha qualcosa da nascondere.

Nessuna moderazione dei contenuti

La questione diventa ancora più complessa nel caso del trattamento di contenuti potenzialmente illegali: WhatsApp dispone di un sistema di segnalazione di messaggi potenzialmente etichettabili come spam o contenenti incitamenti all’odio e contenuti illegali. Come emerso da un’inchiesta del consorzio di giornalismo investigativo Pro Publica, la moderazione di tali contenuti è stata appaltata da Meta alla società Accenture, i cui dipendenti addetti a tale compito sono in grado di accedere ai messaggi “in chiaro”, dunque senza alcuna crittografia, e possono scegliere se non agire, porre il profilo dell’utente sotto sorveglianza o bannarlo dall’app.

Telegram, invece, afferma che “tutte le chat e i gruppi di Telegram sono territorio privato dei loro rispettivi partecipanti” e di non eseguire “alcuna richiesta relativa ad esse”: gli unici interventi ammessi sono quelli che riguardano i bot, gli stickers e i canali pubblici, che, come a volte avviene, possono essere rimossi in caso di segnalazioni e accertamento di abusi. Ma, sottolinea sempre l’azienda, “questo non vale per le restrizioni locali sulla libertà di parola. Per esempio, se criticare il governo è illegale in qualche Paese – si legge nelle faq –, Telegram non sarà parte di questa censura politica. Questo va contro i principi dei nostri fondatori. Mentre blocchiamo bot e canali legati al terrorismo (ad esempio legati all'Isis), non bloccheremo nessuno che esprime pacificamente altre opinioni”.

Procedure molto complicate per l’accesso ai dati da parte delle autorità da una parte, e una politica di moderazione sostanzialmente assente sono, dunque, le chiavi del successo di Telegram: se da una parte queste caratteristiche rendono l’app adeguata a comunicare in modo da sfuggire alla censura da parte di un governo senza necessariamente usare altre app di nicchia come Signal, dall’altra ciò si presta, come la cronaca recente ha dimostrato, anche a svariati abusi.

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