Quattro storie di chi è partito. L’economista Angelo Rossi spiega perché 800 giovani l’anno emigrano e che cosa potrebbe fare il Cantone
Il presente articolo fa parte del "progetto demografia" basato sulle statistiche raccolte e analizzate da un gruppo spontaneo di esperti ticinesi. In una serie di puntate analizzeremo tendenze e realtà demografiche del Ticino.
Fuga di cervelli dal Ticino, se ne vanno in 800 l’anno. Simone dopo il Politecnico di Zurigo sceglie Boston per la ricerca sui droni; Rachele lavora per le risorse umane delle Ffs a Zollikon; Fabiano è impiegato alla Mövenpick di Zugo; Romeo a Zurigo si occupa di informatica. Il rischio per il Ticino, nota l’economista Angelo Rossi è «accorgersi di aver investito centinaia di milioni nel settore universitario per, in buona parte, formare personale specializzato per le aziende delle regioni metropolitane elvetiche». C’è chi se ne va perché non trova posti di lavoro adeguati, chi cerca più sicurezza, chi vuole vedere il mondo. Se ne vanno anche più pensionati dove la vita costa meno. Cala anche il flusso di pensionati confederati verso il Ticino. Tendenze evidenziate dal recente studio demografico di Elio Venturelli (l’analisi su www.laregione.ch/demografia) che commentiamo con l’economista Angelo Rossi.
Il Ticino sta perdendo in attrattività o sono oscillazioni fisiologiche?
Per il momento, non esistono analisi che si siano occupate delle cause del fenomeno, quindi dobbiamo accontentarci di formulare delle ipotesi. L’emigrazione dal Ticino verso il resto della Svizzera è formata da tre gruppi: i giovani con meno di 30 anni, le persone attive con da 30 a 65 anni e le persone con più di 65 anni. A far parlare sono due tendenze: l’aumento degli effettivi di giovani che lasciano il Cantone e il fatto che il saldo migratorio dei Confederati – che rappresenta probabilmente la parte maggiore degli anziani che emigrano – sia diventato negativo. Il solo motivo per migrare che possa unire questi due gruppi di popolazione è la ricerca di sicurezza.
Quale tipo di sicurezza si cerca?
I giovani che partono cercano un posto di lavoro che corrisponda alle loro capacità (di solito elevate) e che sia ben remunerato. Gli anziani che lasciano il Cantone – talora magari dopo decenni di residenza – vogliono tornare presso le loro famiglie in un ambiente che sia loro maggiormente consono o nel quale si sentono di poter sopportare meglio la situazione di dipendenza nella quale sono venuti a trovarsi o stanno per cadere. Se queste due ipotesi fossero fondate, la risposta alla sua domanda non può essere che ambedue le interpretazioni da lei suggerite sono valide. È vero che il Cantone sta perdendo di attrattività nei confronti dei giovani formati a livello terziario e in cerca di un’occupazione adeguatamente remunerata ed è altrettanto vero che l’emigrazione degli anziani svizzero-tedeschi è dettata da ragioni fisiologiche.
Ma il Ticino è a due passi da Zurigo...
In realtà il successivo avvicinamento del Cantone alle due zone metropolitane di Zurigo e Basilea ha probabilmente influito negativamente sui movimenti migratori di persone anziane dalla Svizzera tedesca al Ticino. È come se l’AlpTransit avesse fatto perdere l’ultima briciola di esotico che ancora poteva avere il Ticino.
Un cantone periferico non può competere con Zurigo, Ginevra... per salari e opportunità di lavoro. È preoccupante questa fuga di cervelli?
Mi lasci ricordare che non esistono, per quanto io sappia, inchieste sull’emigrazione dei giovani ticinesi, né su quella più recente, né su quella del passato. Tutto quello che ho trovato è un lavoro di maturità di una decina di anni fa, in un liceo zurighese, da una discendente di emigrati ticinesi. Aspettando i risultati delle ricerche, che verranno, dobbiamo lavorare con ipotesi. A preoccupare è la cosiddetta ‘fuga dei cervelli’. Si tratta di giovani molto preparati che, partendo, indeboliscono il potenziale economico del Cantone.
Università e Supsi a Lugano, si investe nella formazione e i ticinesi vanno via... che cosa non funziona?
Il Ticino si è dotato, nel corso degli ultimi decenni, di istituti di formazione a livello universitario. Si pensava che la propensione a partire dei giovani universitari sarebbe diminuita se questi giovani avessero potuto compiere i loro studi nel Cantone. L’emigrazione dei giovani ticinesi del periodo successivo alla crisi finanziaria internazionale sembra però dimostrare il contrario, ossia che tutte le misure prese sin qui dal pubblico e dal privato per cercare di inserire i giovani laureati nell’economia locale ( in particolare i diversi programmi di promozione delle nuove aziende) non sono bastate a trattenerli nel Cantone. Una parte di essi, alla ricerca di maggiore sicurezza nell’impiego e, anche, di una migliore remunerazione, ha preferito emigrare. Chiaramente quella di emigrare è una decisione individuale sulla quale non si può intervenire con divieti. Preoccupante per il Cantone potrebbe essere se, al momento di fare il bilancio, dovesse accorgersi di avere investito centinaia di milioni nel settore universitario per, in buona parte, formare personale specializzato per le aziende delle regioni metropolitane del Paese.
Ma è vero che ad emigrare sono i cervelli più fini? Ma soprattutto che cosa può fare il Canton Ticino per arginare questa tendenza? Risponde Angelo Rossi. «La fuga dei cervelli dai Cantoni non universitari e dai Cantoni con università non complete è un fenomeno che dura da decenni. Si dice che ad emigrare siano i migliori (attenzione è un emigrato che fa questa affermazione !). È quindi possibile che l’economia e la società dei Cantoni di emigrazione subiscano perdite importanti in materia di creatività, capacità manageriali, contributi culturali e quant’altro. Finora, tuttavia, l’emigrazione dei cervelli non ha fatto perdere al Ticino nessun premio Nobel anche se un paio di candidature di ticinesi emigrati sono state avanzate, nel corso degli ultimi decenni», dice Rossi. Insomma difficile capire quanto un territorio si impoverisce: «Il discorso sulle perdite in termini di capitale umano è di quelli ai quali è difficile dare una dimensione concreta. Diverso è invece il discorso sui costi della formazione universitaria sopportati dal Cantone». Qui ci sono delle piste: «È pensabile creare, a livello intercantonale, un sistema per compensare i Cantoni che forniscono i cervelli. Ma ho molti dubbi che si possa trovare una base giuridica valida per introdurlo. Di conseguenza tutta la responsabilità sul da farsi cade sul Canton Ticino che, per quanto mi risulta, qualche misura a livello di formazione del terziario l’ha già presa come, tra le altre, per esempio la creazione di due università che ha quintuplicato almeno i posti di lavoro nell’insegnamento universitario, in quello nella formazione permanente, nonché nella ricerca. Il Cantone aveva anche fatto partire, qualche anno fa, una banca dei dati sull’emigrazione dei ticinesi con l’intenzione di rendersi conto delle risorse in capitale umano di cui poteva disporre fuori dai suoi confini. Non mi sembra che abbia dato qualche risultato». Altri Cantoni hanno tentato altre strade interessanti: «Come la nomina di ambasciatori nelle regioni nelle quali l’emigrazione è maggiore, non so con quali risultati. Queste misure più che impedire l’emigrazione tentano di facilitare il ritorno dei laureati nel Cantone di origine. In una recente analisi della fuga intercantonale di cervelli è stato suggerito – in modo indiretto – che una riduzione delle imposte sulle persone con alti livelli di specializzazione potrebbe aiutare», conclude.
All’età di 19 anni, dopo l’apprendistato come impiegata di commercio e la maturità in tasca, Rachele Berti (33 anni) lascia il Ticino per Friburgo dove si iscrive all’Haute école de gestion. «Terminata la formazione, ho cercato un posto nel campo delle risorse umane, in Ticino c’è poco mercato e infatti non ho trovato nulla. Sono stata assunta come responsabile amministrativa in una panetteria con 60 collaboratori», spiega. Un’esperienza di 7 anni durante i quali l’azienda cresce e si professionalizza. Oggi Rachele lavora al servizio risorse umane delle Ferrovie federali svizzere a Zollikofen. «Se fossi rimasta in Ticino avrei probabilmente trovato lavoro come segretaria e sarebbe stato molto difficile ottenere questo impiego, che è molto stimolante, variato, mi confronto ogni giorno con culture diverse. Conoscere bene le lingue nazionali ha fatto la differenza». La scelta di rimanere a Friburgo è stata anche dettata dal cuore. «Qui ho conosciuto il mio attuale marito che è ingegnere informatico. Per lui, il mercato ticinese è molto limitato. Torno a casa con la famiglia per le vacanze. Siamo contenti che i nostri figli crescano a Friburgo. Vediamo un futuro più facile per loro nella Svizzera tedesca, dove il mercato offre più possibilità», conclude.
La ticinese Rachele Berti vive a Friburgo e lavora alle risorse umane delle Ffs a Zollikofen, canton Berna
Da Cevio a Boston passando dal Politecnico di Zurigo: questa in estrema sintesi è la traiettoria dell’ingegnere meccanico Simone Airoldi, che nel 2009 è andato a Boston per scrivere la sua tesi di master su robotica e droni. Finita la tesi, inizia uno stage, che poi diventa un posto fisso, in una ditta legata alle applicazioni dei droni nel militare. Da cinque anni, lavora per Amazon Prime Air, dove si occupa di ricerca e sviluppo dei droni. L’obiettivo ora è consegnare i pacchi a domicilio via aerea. «Ho un buon impiego che mi appassiona e mi soddisfa: alla mia famiglia non manca nulla. Volevo vedere il mondo, così da studente sono venuto a Boston e qui ho trovato lavoro nel settore che studiavo al Politecnico. In Ticino non conosco ditte che fanno ricerca sui droni, ma devo riconoscere che non ho mai cercato lavoro in Svizzera in questo settore». A Boston contava di rimanere qualche anno, ma poi si è sposato con una giovane americana e sono arrivati due figli: «Abbiamo acquistato una casa, una casetta tipica americana con un bel giardino. Penso che rimarrò a Boston dove sto vivendo il mio ‘American dream’. L’unica cosa che mi manca ogni tanto sono la mia famiglia in Svizzera, le mie radici e la mia cultura».
Simone Airoldi, da Cevio a Boston, dove vive con la famiglia e lavora per Amazon Prime Air. Si occupa di ricerca e sviluppo di droni
Da Lumino a Zugo grazie al commercio online di padelle. Fabiano Pianetti (37 anni) è stato premiato per la sua intraprendenza. Dopo gli studi a Zurigo in musicologia, storia e letteratura italiana, Pianetti rientra in Ticino per aiutare il padre malato. «Lavoravo in un negozio di strumenti musicali online. Non ero contento, né del salario (non mi permetteva l’indipendenza economica), né delle condizioni di lavoro (bisognava litigare per avere un giorno libero per il funerale di mio padre)». Pianetti ha anche lavorato per nove mesi al Conservatorio della Svizzera italiana. Ma arriva un momento dove decide di lasciare il mondo della musica e lanciarsi in una nuova avventura. «Ho avviato una ditta di shopping online di prodotti per la cucina. La scommessa ha funzionato, il business andava davvero bene». Si distingue nel suo lavoro e viene assunto in una funzione dirigenziale alla Mövenpick di Zugo, dove è da qualche mese. «Lavorando per una multinazionale ho maggiori possibilità di crescere professionalmente. La ditta paga la formazione continua e così resti competitivo in un settore che cambia rapidamente e dove c’è molta concorrenza. I piccoli shopping online soffrono per la concorrenza dei giganti. In Ticino c’è poco o nulla per il commercio online, inoltre nella Svizzera tedesca si respira una cultura più positiva. Qui sento meno rabbia e l’ambiente di lavoro è più cordiale e rilassato». Il suo futuro, lo vede a Zugo. «Se avrò dei figli, vorrei che facciano la loro vita nella Svizzera tedesca, dove avranno più carte in mano da giocarsi», conclude.
Da Lumino a Zugo per Fabiano Pianetti, che dopo aver avviato la sua ditta di shopping online per la cucina viene assunto da Mövenpick
Romeo Nicoli (27 anni) è cresciuto nel Locarnese, terminati gli studi al Politecnico di Zurigo in matematica, trova impiego nella città sulla Limmat dove vive attualmente. «Lavoro per una ditta di informatica e mi trovo bene. Dopo gli studi, non volevo tornare subito in Ticino. Alcuni compagni del Politecnico ora insegnano matematica al liceo in Ticino, ma io volevo restare a Zurigo per fare un’esperienza professionale. In fondo per tornare in Ticino, c’è sempre tempo», spiega Nicoli. Insegnare in un liceo potrebbe essere un’opzione in futuro. «Non ho nemmeno provato a cercare lavoro in Ticino. Voglio fare esperienza fuori Cantone in un settore privato», spiega. Per il trentenne la vita in una città come Zurigo ha i suoi vantaggi: «Mi interessa conoscere altre culture, viaggiare, fare esperienze anche all’estero. Il Ticino non scappa. A Zurigo si vive bene, mi muovo coi mezzi di trasporto, mentre a Cugnasco, dove sono cresciuto, alle 17 il traffico è bloccato, sarei sempre in coda se dovessi andare a Lugano a lavorare. In Ticino ci vado, soprattutto per andare in montagna», conclude Romeo Nicoli.
Il matematico Romeo Nicoli cresciuto nel Locarnese, lavora a Zurigo nel campo dell'informatica