Educazione

Educare alla pace

100 anni fa iniziava la lotta per il diritto al servizio civile. Una lunga storia di convivenza e dialogo tra diverse anime della Svizzera

Il lavoro del Service Civil International oggi: volontari aggiustano muretti (Varen VS, 2020)
(SERVICE CIVIL INTERNATIONAL)

La scuola pubblica, leggiamo nella Legge della scuola del 1990 (art. 2), “sviluppa il senso di responsabilità ed educa alla pace, al rispetto dell’ambiente e agli ideali democratici”. Ma che cosa vuol dire educare alla pace oggi? L’attuale piano di studio per le scuole dell’obbligo, entrato in vigore nel 2015, indica alcune piste, come quella di incoraggiare la partecipazione degli allievi e delle allieve a progetti in occasione di giornate internazionali, e per il resto lascia a chi insegna libertà d’insegnamento. La scuola e i docenti sono insomma chiamati a riflettere sull’educazione alla pace per adempiere al mandato affidato loro dalla legge. In questo mandato c’è una grande responsabilità perché naturalmente l’insegnante è una persona con idee sue, che esprime liberamente nelle discussioni in famiglia, sul posto di lavoro o nel suo entourage, o anche nel segreto dell’urna in ogni votazione. Di fronte alle allieve e agli allievi, invece, chi insegna è tenuto a una certa sobrietà e in certi casi dovrà astenersi dal palesare le proprie idee, ricordandosi che quella in aula è una relazione asimmetrica tra un adulto che ha le sue idee e dei giovani che quelle idee se le devono ancora costruire, in un processo libero da pressioni e manipolazioni indebite. Il ruolo di chi insegna deve limitarsi, cioè, a far comprendere il concetto senza giudicare chi a partire da quel concetto arriva a conclusioni diverse dalle sue.

Il concetto di pace

Tornare indietro nel tempo può aiutare a comprendere che il concetto di impegno per la pace può trovare declinazioni radicalmente diverse. Correva l’anno 1989 quando in votazione popolare ben il 35% dei votanti espresse un punto di vista radicale votando a favore di un’iniziativa che mirava alla soppressione dell’esercito. Quel voto fece emergere una rottura nel tradizionale consenso verso la difesa armata: pochi anni dopo, nel 1996, si riuscì a superare la tradizionale impostazione che voleva per gli uomini non disposti a prestare servizio militare (i cosiddetti obiettori di coscienza) il carcere. Dopo quegli anni di intenso dibattito sono diventati più marginali i punti di vista radicali, come quello pacifista, che vorrebbe arrivare, appunto, a un mondo senza eserciti, o quello di chi vorrebbe abbandonare la tradizionale neutralità e far aderire la Svizzera alla NATO. Discutere di pace è considerato, con buone ragioni, difficile, ma in una democrazia matura è necessario costruire, attraverso la fatica del confronto delle idee, la riflessione su parole-concetto come servizio, impegno, libertà, tolleranza e rispetto.


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Campo di volontari a Someo nel 1924

Il Service Civil International e la mostra che ne ripercorre la storia

Ed è proprio in quest’ottica di dialogo e scambio volto a far conoscere punti forti ma anche deboli di un pensiero o di una presa di posizione che si inserisce la mostra, allestita presso il DFA/ASP fino al prossimo 9 di ottobre, sulla storia del Service Civil International, di cui ricorre quest’anno il centenario. Una storia che, guarda caso, inizia proprio in Ticino. Correva l’anno 1924, e le Camere federali dovevano discutere di una petizione che chiedeva di introdurre, per gli obiettori di coscienza, il servizio civile al posto di quello militare. Nella stessa estate in diverse zone montane della Svizzera piogge e frane avevano inferto distruzioni massicce e una delle zone più colpite fu – e qui sembra che la nostra storia si sia appena ripetuta – la Vallemaggia. In particolare il caso di Someo, dove c’erano state anche numerose vittime, suscitò l’attenzione della stampa nazionale e internazionale. Dopo i primi soccorsi e una volta constatati i danni, si pose il problema urgente della prima ricostruzione. Così fu lanciata l’idea di organizzare un “servizio civile” su base totalmente volontaria per venire in aiuto alle popolazioni colpite. Forte di una precedente esperienza a Les Ormonts (VD) il giovane movimento pacifista svizzero organizzò allora per Someo un “campo” di volontari allo scopo dichiarato di dimostrare che un servizio civile per gli obiettori di coscienza poteva essere un progetto non solo giusto ma anche utile. Il successo fu inatteso: all’appello risposero più di 300 persone, il “servizio civile” ebbe una durata di due mesi e i volontari accorsi da tutta la Svizzera e persino dall’estero (le cronache parlano anche di tre pacifisti venuti dagli Stati Uniti) ebbero modo di farsi apprezzare per la qualità del loro impegno.

Dialogo e rispetto nelle differenze

Un dettaglio curioso riguarda Pierre Cérésole, autore dell’appello per Someo e futuro fondatore del Service Civil International. Pierre, pacifista al punto da aver affrontato il carcere per rifiuto di servizio militare, quando si rese conto di aver bisogno di un buon organizzatore, si rivolse a un uomo dall’indubbio talento organizzativo ma anche molto diverso da lui: suo fratello Ernest Cérésole, colonnello dell’esercito svizzero. Quella dei fratelli Cérésole è la storia di due punti di vista diversi in grado di dialogare rispettosamente. Una lezione valida ancora oggi, da tenere a mente quando si parla di educazione alla pace.


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I fratelli Cérésole

Durante la sessione d’inverno 1924 le Camere federali respinsero la petizione per il servizio civile, e i decenni successivi sarebbero stati, per parafrasare Brecht, tempi brutti per il pacifismo. La questione del servizio civile tornerà d’attualità solo negli anni 70, quando anche in Ticino un numero crescente di giovani comincia a contestare l’obbligo del servizio militare dando vita a movimenti come il Centro Nonviolenza Ticino, tuttora attivo.

Dall’esperienza di Someo è nata in cento anni un’organizzazione mondiale che ancora oggi organizza “workcamps”, campi di lavoro per volontari in tutto il mondo. Oggi il lavoro del Service Civil International è incentrato meno sulla ricostruzione dopo disastri naturali e più sull’aiuto a chi ha bisogno, dai bambini in campi di rifugiati ai contadini nel Sud del mondo. Uguale è rimasto invece l’ideale delle origini, di un impegno per la pace attraverso forme concrete di lavoro, costruzione e condivisione.

La mostra sui 100 anni del Service Civil International è visitabile a Locarno presso il DFA/ASP fino al prossimo 9 di ottobre. Mercoledì 11 settembre si svolgerà inoltre, sempre presso il DFA/ASP, una tavola rotonda con esponenti del mondo dell’educazione e dei movimenti per il servizio civile per una discussione intorno alle questioni sollevate nel presente articolo.

In collaborazione con il Dipartimento formazione e apprendimento/Alta Scuola Pedagogica

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