I videogiochi sono percepiti come elementi di disturbo o perdita di tempo. E se invece fossero anche alleati dell’apprendimento?
Nell’esperienza di molti genitori, i videogiochi sono elementi di disturbo, antagonisti di una buona educazione e di una sana vita sociale. Eppure i videogiochi possono essere potenti macchine per l’apprendimento. Per capirlo, è utile fare qualche passo indietro.
Il processo di apprendimento può svolgersi in contesti formali o informali. La scuola opera principalmente attraverso contesti formali nei quali l’allievo sviluppa le proprie competenze tramite le lezioni, gli esercizi e le attività proposte dal docente. Ma a scuola può avvenire anche un altro tipo di apprendimento, detto non formale: è quello che si realizza in attività non strutturate in termini di obiettivi, tempi e risorse. L’apprendimento informale si svolge per tentativi, per osservazione e mediante le interazioni sociali (e può apparire anche in altri contesti come la casa, il lavoro o le attività ricreative). Non avendo una struttura fissa e perseguendo uno scopo che non coincide solo con l’apprendimento disciplinare, il contesto informale spesso è considerato “apprendimento sporco”. Questo necessita di un tempo più lungo rispetto ad una lezione frontale ma è in grado di coinvolgere ed entusiasmare gli studenti in modo più profondo e pervasivo.
Vari studi hanno dimostrato infatti che nozioni apprese durante un momento di gioco rimangono impresse per più tempo. Partendo da questa premessa, alcune esperienze didattiche ricorrono alla cosiddetta gamification, un approccio che utilizza elementi del game design in situazioni di non-gioco. Nei contesti educativi la gamification può essere usata per circoscrivere un percorso scolastico tramite una narrativa, degli obiettivi e delle attività in classe. In questo caso si parla di game-based learning, ovvero “apprendimento tramite il gioco”. Il Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI ha collaborato ad esempio ad un progetto di ricerca internazionale sulle escape room didattiche. Lo scopo del progetto era quello di valutare le potenzialità del format ludico “escape room” usato in classe per raggiungere obiettivi disciplinari attraverso l’uso di puzzle ed enigmi (a differenza delle escape room tradizionali che spesso offrono solo enigmi legati a logica e problem solving). L’approccio ha avuto e ha tuttora un grande successo con i/le docenti in Ticino, che riportano grande coinvolgimento da parte delle classi e un buon riscontro da un punto di vista di competenze disciplinari apprese o messe in atto. Anche in questo caso parliamo di apprendimento sporco: in un’ora di gioco si possono toccare pochi temi, si tratta però di un apprendimento divertente e memorabile.
È dunque possibile fare il passo successivo cercando di introdurre competenze disciplinari all’interno dei videogiochi?
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Nozioni apprese durante un momento di gioco rimangono impresse per più tempo
Nel contesto videoludico, tramite gli elementi legati al game design, i creatori del gioco permettono ai giocatori di vivere sfide sempre più impegnative, richiedendo di sviluppare al meglio le proprie abilità, apprendendo meglio le regole del gioco, e cercando di far entrare i giocatori nel cosiddetto flow (flusso), cioè quello stato mentale ottimale in cui una persona si trova quando è completamente immersa in un’attività, concentrata ed estremamente coinvolta, perdendo la percezione del tempo e di sé stessa. Per raggiungere questo stato le sfide non devono essere troppo semplici, sennò i giocatori rischiano di annoiarsi, ma nemmeno troppo complicate, rendendo il gioco frustrante. Siamo invitati a superare sfide sempre più impegnative migliorandoci e apprendendo e sperimentando nuove strategie. Una dinamica che può rivelarsi molto potente anche dal punto di vista dell’apprendimento scolastico. Giocando ai videogiochi può capitare di perdere il senso del tempo, un primo indicatore dello stato di flow. Per questo motivo è necessario comunque riuscire a mantenere un giusto bilanciamento nell’utilizzo di questi mezzi.
Nel corso degli anni sono apparsi vari videogiochi pensati per stimolare lo sviluppo di competenze disciplinari, per esempio Brain Training e i suoi sequel. I giochi di questa serie richiedono ai giocatori di risolvere problemi matematici, calcoli o sudoku per calcolare l’età mentale dei giocatori, invitandoli ad esercitarsi ogni giorno. Questa tipologia di giochi viene chiamata edutainment, ovvero giochi che uniscono educazione ed intrattenimento, o anche serious games. Purtroppo giochi come questi trasformano la sessione di gioco in un momento troppo sbilanciato verso l’apprendimento classico eliminando la possibilità dei giocatori di sperimentare la condizione di flow.
Distaccandosi però da una traduzione troppo diretta degli obiettivi disciplinari nei videogiochi è possibile osservare altri benefici e potenzialità. È infatti stato ampiamente provato che il videogioco aiuta a migliorare competenze di problem solving, motivazione, creatività ma anche le competenze trasversali, per esempio tramite i giochi multigiocatore nei quali si dispiegano comunicazione, ascolto attivo, teamwork, autoefficacia, o leadership – tutte competenze che emergono soprattutto negli eSports, videogiochi competitivi nei quali i giocatori sfidano, singolarmente o a squadre, altri giocatori. I videogiochi di questa categoria non hanno variabili aleatorie che influiscono nel corso della partita e sono solo basati sull’abilità dei giocatori e le loro competenze trasversali. Alcuni esempi possono essere Fortnite, Call of Duty o League of Legends.
Il mondo dei videogiochi è più profondo di quanto ci si possa aspettare e offre degli appigli interessanti per l’educazione. Con le dovute precauzioni sui tempi e le modalità d’uso, questo campo di ricerca potrebbe gettare le basi per una nuova serie di progetti edutainment efficaci.
In collaborazione con il Dipartimento formazione e apprendimento