Merito dei ricercatori dell’Università della California a San Diego e dei nuovi materiali plastici biodegradabili a base di schiume di poliuretano.
Scarpe ecosostenibili che si degradano in mare dopo 12 settimane, scomponendosi in elementi che nutrono i microrganismi dell’ecosistema marino: è quanto hanno realizzato i ricercatori dell’Università della California a San Diego, grazie a nuovi materiali plastici biodegradabili a base di schiume di poliuretano. Il risultato è pubblicato sulla rivista Science of The Total Environment.
"Lo smaltimento improprio della plastica negli oceani genera microplastiche ed è diventato un enorme problema ambientale", afferma il biologo Stephen Mayfield. "Abbiamo dimostrato che è assolutamente possibile realizzare prodotti in plastica ad alte prestazioni che possono anche degradarsi nell’oceano. La plastica non dovrebbe finire in mare, ma se accade, questo materiale si trasforma in cibo per i microrganismi e non in detriti di plastica e microplastiche che danneggiano la vita acquatica".
Le calzature, comprese le popolarissime infradito, rappresentano una percentuale importante dei rifiuti di plastica che finiscono nelle discariche e nel mare. Per risolvere questo problema, i ricercatori hanno lavorato otto anni per mettere a punto nuovi polimeri biodegradabili che si sono dimostrati in grado di scomporsi nel terreno. Per verificare il loro comportamento anche in mare, sono stati condotti alcuni test in collaborazione con i ricercatori dello Scripps Institution of Oceanography. In particolare, alcuni campioni sono stati esposti all’azione delle onde e delle maree, monitorandone i cambiamenti molecolari e fisici con la spettroscopia a infrarossi e la microscopia elettronica a scansione.
I risultati hanno mostrato che il materiale ha iniziato a degradarsi dopo appena quattro settimane grazie all’azione di batteri e funghi che vivono nel mare. Questi microrganismi colonizzano la scarpa e la scompongono in elementi che usano come nutrimento. "Sono stato sorpreso da quanti organismi colonizzano queste schiume nell’oceano", commenta Mayfield. "È come una barriera corallina per microrganismi".