laR+ l’analisi

Il vantaggio di Hamas, nemico ‘senza terra’

I terroristi non si identificano con la geografia della Palestina. Ciò, oltre alla sproporzione di mezzi, rende doppiamente asimmetrico il conflitto

Guerriglieri di Hamas
(Keystone)
19 ottobre 2023
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Guerra facile per quelli di Hamas e non solo per aver mosso per primi sullo scacchiere: non è questione di “pezzi bianchi” che, garantendo il diritto a cominciare, conferiscono un universalmente noto vantaggio a uno dei contendenti.

L’incontrastabile forza di Hamas è quella di non avere un territorio e sintetizza senza eguali il concetto di asimmetria del conflitto, ben diversa dalla sua comune e impropria interpretazione di “sproporzione tra gli schieramenti” tradizionale nelle sfide che poggiano sul terrorismo.

L’interlocutore sbagliato

È bene chiarire che Hamas non è la Palestina e non ha nemmeno alcuna intenzione di identificarsi in quegli spazi geografici. Il ruolo progressivamente guadagnato di braccio armato a tutela di una popolazione sofferente non attribuisce coincidenze di sorta tra i guerriglieri barbari e la gente di Gaza. Quest’ultima ha solo (o principalmente) la gravissima colpa di non aver estirpato le radici ideologiche che quell’organizzazione ha saputo innestare riconoscendo la fertilità assicurata da dolore e disagio ormai cronici da quelle parti. L’aver delegato comprensibili rivendicazioni di diritti non rispettati o, semplicemente, l’aver consentito che il peggior interlocutore se ne potesse fare interprete ha portato l’opinione pubblica internazionale a sovrapporre erroneamente il cruento gruppo terroristico con milioni di persone in oggettiva difficoltà da tempo.


Keystone
Una manifestazione di piazza con bandiere di Hamas e un Corano

Hamas ha proprie basi nella striscia di Gaza, ma quel ritaglio di terra ospita anche persone innocenti di ogni età e sesso il cui destino – certamente tra i non più fortunati – include il saldo (fino all’ultimo centesimo e con gli interessi) delle carneficine compiute dai sedicenti loro angeli custodi.

I vertici stanno altrove

Hamas – il cui management vive in altri Paesi e si gode atmosfere ben più rilassate in Qatar e dintorni – non teme una possibile coventrizzazione di Gaza City. In una visione antropomorfica, questo sodalizio assiste alla fin troppo scontata reazione come l’inquilino di un immobile in zona sismica che se ne è andato con le sue cose al verificarsi della prima scossa tellurica. In questa iperbole al palestinese tocca il ruolo del proprietario dell’appartamento destinato a crollare per il terremoto…

Sostituendo i movimenti sussultori e ondulatori con la deflagrazione di missili e razzi che piovono dal cielo, è ovvio che i terroristi abbiano poco da preoccuparsi se non corrono nemmeno il rischio di trovarsi sotto le macerie.

Qualcuno tira fuori il mito di Polifemo accecato da Ulisse. Come il ciclope urla “Nessuno” a chi gli chiede il nome del suo feritore, Israele cerca di puntare il dito verso la città di chi ha scatenato l’inferno a ridosso del confine e si rende conto che i suoi nemici non hanno case, palazzi e strade che materializzino il loro esserci. L’indisponibilità di un bersaglio fisico spiazza chiunque voglia replicare restituendo pan per focaccia.


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Yahya Sinwar, leader di Hamas nella Striscia

Nomadi, inafferrabili

Hamas ha ben presente che il non avere un proprio territorio è la nemmeno tanto segreta ricetta per l’elisir di lunga vita. Anche la più dettagliata evidenza dei leader di quella organizzazione e della struttura operativa incappa in una sorta di “nomadismo” che evoca – con ben diversa drammaticità – l’impossibilità amministrativa di procedere alla notifica di un provvedimento a un soggetto senza fissa dimora…

L’atteggiamento beffardo e infido dei terroristi non si placa dinanzi a un assedio implacabile e pochi spazi di manovra vengono lasciati a chi spera in una tregua e nell’individuazione di una soluzione che plachi gli animi.

Dopo le centinaia di morti nell’ospedale di Gaza, Hamas dice di esser disponibile al rilascio degli ostaggi in cambio della sospensione delle attività di artiglieria tradizionale e missilistica che sta sbriciolando la città. L’offerta pare allettante ma una lettura più attenta delle condizioni smorza i già fievoli entusiasmi.

I terroristi dichiarano di essere pronti a liberare gli ostaggi “civili” e questo aggettivo costituisce una spaventosa delimitazione dei soggetti che potrebbero tornare a casa. Avrebbero eventualmente questa fortuna gli stranieri rastrellati nei diversi raid, ma non troverebbero scampo gli israeliani fatta eccezione per i bambini e la spiegazione è fin troppo semplice. Hamas disporrebbe degli elenchi di chi in Israele “vanta” esperienze militari anche pregresse ed è noto che uomini e donne – senza distinzione – hanno frequentato corsi di addestramento e svolto esercitazioni che rappresentano la preparazione base di ogni buon cittadino di quelle parti. Anche chi ha passato una vita a occuparsi d’altro si ritrova a esser annoverato tra i “nemici combattenti” e persino gli inoffensivi ultraottantenni strappati da casa loro non sono “civili”.


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Scritta su un muro di Tel Aviv

Sullo sfondo

A soffiare sul fuoco ci sono i Paesi limitrofi che da tempo aspettavano una occasione così golosa per vedere Israele in profonda difficoltà. Non soltanto Iran e Qatar hanno interessi in gioco, ma anche la Russia e sullo sfondo la Cina gioiscono per l’attuale esplosiva instabilità di quell’angolo di Mediterraneo.

In questo sconfortante scenario i burattinai che muovono gli efferati miliziani di Hamas conoscono bene l’impatto emotivo di immagini e video. Un bombardamento virtuale di fake news – supportate da materiale multimediale falso ma apparentemente verosimile – sta confondendo gli osservatori internazionali proprio mentre si compie una catastrofe umanitaria.

La rabbia sale e al contempo cresce la consapevolezza che la distruzione di Gaza non comporta l’annientamento di Hamas e non risolve un problema che invece deve essere eliminato.

E il vantaggio dei terroristi continua ad aumentare…


Un bambino indottrinato da Hamas a Gaza

* Umberto Rapetto, Generale GdF già comandante del Gruppo Anticrimine Tecnologico, per anni docente di Open Source Intelligence alla Nato School di Oberammergau (D)