Troppo potente, troppo invasivo, troppo diretto e troppo influente in Africa con le sue milizie, ecco perché Putin voleva la fine di Prigozhin
Non avremo spiegazioni ufficiali del disastro aviatorio in cui sono periti Evgenij Prigozhin e Dmitrij Utkin, rispettivamente proprietario e comandante operativo della milizia privata russa Wagner. Gli indizi, però, sono convergenti. L’aereo è stato abbattuto, dall’antiaerea o da un’esplosione interna. La milizia Wagner è stata protagonista del più serio tentativo di rovesciamento di Vladimir Putin da sempre: la scomparsa di Prigozhin e Utkin elimina il principale cospiratore antiregime e decapita la milizia. Poco dopo il fatto, Putin è comparso durante una manifestazione ufficiale più baldanzoso che mai, non lo si vedeva così lanciato da un anno e mezzo.
Ci si può chiedere perché siano passati due mesi, dal tentato colpo di Stato all’eliminazione di colui che ha tradito Putin e lo ha umiliato, quando, il 24 giugno, un convoglio della Wagner è giunto da Rostov alle soglie di Mosca senza che l’esercito riuscisse a fermarlo. La ragione va cercata soprattutto in Africa.
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Le due maschere di una tragedia
Prigozhin, nel suo, era un uomo capace. Sarebbe esagerato dire che fosse diventato quasi simpatico, ma con il progressivo arenarsi dell’avanzata russa in Ucraina, per tutti gli analisti si era trasformato in una singolare bocca della verità. La guerra va male per la Russia e lui lo diceva. A differenza del Ministro della difesa, Sergej Shoigu, e del Capo di stato maggiore, Valerij Gerasimov, che dirigono la guerra dai ministeri, nelle loro divise perfettamente stirate, Prigozhin si faceva riprendere in zona operazioni, in uniforme da combattimento, gravato di armi, ricetrasmittente e, nell’ultimo video postato dall’Africa, col capo coperto da un cappellaccio in stile coloniale: “Stiamo lavorando! Temperatura: 50 gradi sopra lo zero, proprio come piace a noi”. Per sbraitare in linguaggio colorito contro i dirigenti dell’esercito di Stato, che negavano armi e sostegno alla sua milizia, ci voleva del coraggio: Prigozhin l’aveva, e ciò gli ha guadagnato il rispetto dei suoi uomini.
In Africa, per la Russia la milizia Wagner è stata la chiave di controllo in un numero crescente di situazioni. Entrava offrendo servizi di sorveglianza in miniere e strutture nevralgiche dei deboli Stati africani. Divideva con i caporioni locali i proventi dello sfruttamento delle risorse e si finanziava così, pesando il meno possibile sullo Stato russo, del quale però garantiva l’influenza sul continente. A intralciare la Wagner c’erano le truppe francesi, le altre missioni internazionali e quelle dell’Onu. Erano state chiamate dai governi africani per sostenere i loro eserciti nella lotta contro il terrorismo.
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L’aereo dopo lo schianto
Con una serie di colpi di Stato, dal Mali al Burkina Faso, poche settimane fa in Niger, quei governi sono stati ribaltati e sostituiti da giunte militari favorevoli a Mosca. Grazie a una martellante campagna di propaganda, a cui non sono estranee le società Internet di Prigozhin, la stessa popolazione africana che pochi anni prima aveva acclamato all’arrivo le truppe occidentali come liberatrici dal terrorismo è scesa improvvisamente in strada a sostegno dei generali golpisti, sventolando bandiere russe e urlando contro l’Occidente. La democrazia di quei Paesi, già fragile, viene sospesa e la Russia estende il suo scacchiere di influenze. La Wagner è operativa da tempo in diversi ruoli anche in Libia, Repubblica centrafricana, Sudan, e in Medioriente, dallo Yemen alla Siria.
Questa onnipresenza dava a Prigozhin una forza contrattuale enorme, di fronte a Putin. Se Prigozhin fosse stato eliminato subito dopo il 24 giugno, l’apparato russo in Africa si sarebbe fermato. Putin aveva bisogno di tempo. Oggi sappiamo che voleva sostituire la Wagner con altre due milizie, la Convoj e la Redut, vicine al Ministero della difesa. Prigozhin aveva reagito molto male a questo progetto. Con il viaggio in Africa dei giorni scorsi voleva mostrarsi sul pezzo, per evitare la sostituzione. La sua morte è intervenuta due giorni dopo, al suo ritorno in Russia.
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Versione eroe durante la marcia (interrotta) su Mosca
La morte di Prigozhin e Utkin, con la quasi certa fine della milizia Wagner, influiranno poco sulla guerra in Ucraina, dal cui scenario la Wagner si era già distanziata. È possibile che i militi della Wagner tentino qualche vendetta contro il regime: Putin, da parte sua, sa che una rivolta senza capi non fa strada. I due uomini che comandavano in concreto la milizia sono morti. Il presidente russo tenta così di riportare sotto il suo scettro la parte di Stato che il 24 giugno si è mostrata infedele, ma rischia di cadere in una spirale di violenza interna che accresce le diffidenze anche nei più fedeli.
Nello stesso quadro rientra la recente rimozione del generale Sergej Surovikin, scomparso da due mesi, vicino a Prigozhin. In questi giorni, in Sudafrica, si tiene il vertice dei Paesi emergenti Brics. La Russia ne è un elemento centrale. Con il caso Prigozhin, Putin mostra ai suoi alleati e a noi occidentali di cosa è capace. Chi, in Europa, si augura che l’Ucraina perda la guerra e la Russia trionfi, ne prenda nota.