L'analisi

Geopolitica del virus

Anche guardato attraverso il prisma del Covid-19 questo mondo si conferma guasto

16 marzo 2020
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Anche guardato attraverso il prisma del Covid-19 questo mondo si conferma guasto. Forse è improprio parlare di geopolitica del virus, ma per intenderci può servire. Se si guarda infatti al comportamento nei confronti dell’epidemia dei principali attori mondiali, il quadro che ne esce sembra indicare il nuovo livello su cui si condurrà il confronto tra potenze.

Partiamo, inevitabilmente, dal presidente degli Stati Uniti. La sua manifesta inadeguatezza al ruolo non poteva avere conferma più chiara nell’atteggiamento ostentato al riguardo dell'’epidemia, dapprima derubricata a un malessere stagionale, poi indicata come “propaganda dei democratici” che ne avrebbero fatto un argomento di campagna elettorale, quindi bollata come “virus straniero”, e infine emergenza nazionale.

Si tratta dello stesso presidente di un Paese che apparentemente conta un numero di contagi ancora modesto, un quadro che si comprende solo se si considera che negli Usa vivono decine di milioni di cittadini sprovvisti di un’assicurazione sanitaria, per i quali un test di depistaggio supera le possibilità economiche, e che resterebbero senza reddito in caso di malattia. “Pochi”, in sostanza, perché “invisibili”.

Si tratta anche dello stesso uomo che ancora in un recente comizio elettorale ha evocato il virus per confermare la necessità del muro alla frontiera con il Messico. Non è un caso: basti pensare, come ha osservato The Guardian, che il primo discorso sulle misure urgenti contro l’epidemia gli è stato scritto da Stephen Miller, autore dei precedenti interventi più ostili nei confronti degli immigrati. Quanto al più clamoroso dei provvedimenti, il divieto di voli dall’Europa agli States, eccetto quelli dal Regno Unito – rettificato solo in un secondo tempo – il suo significato politico annichilisce ogni preteso motivo di prevenzione sanitaria, sigillando semmai con il più balengo cinismo l’asse antieuropeo con Boris Johnson (che “sta facendo un lavoro meraviglioso” contro il virus).

Specularmente, l’altro Signore della Terra, si gode a Pechino il suo momento di gloria. Xi Jinping si è intestato la sconfitta (ammesso che tale sia) del Covid-19 in Cina, deciso a trarne ulteriore conferma della propria necessità storica per il suo Paese, e a rafforzare il potere del partito. E per non lasciare niente al caso – giacché un pur ferreo controllo dell’informazione non può tenere a freno tutto il risentimento dei cinesi offesi (e uccisi) dall’iniziale omertà di Stato sulla diffusione del Covid-19 – la macchina della propaganda si è già attivata diffondendo le teorie cospirazioniste secondo le quali il virus avrebbe avuto origine negli Stati Uniti e solo successivamente sarebbe passato in Cina. Una costruzione più raffinata delle bercianti teorie diffuse in internet; basata sulle affermazioni di Robert Redfield, direttore dell’Us Centers for Disease Control and Prevention, (l’agenzia federale per il controllo delle epidemie, i cui fondi sono stati draconianamente ridotti dalla corrente amministrazione), il quale aveva di recente ammesso la possibilità che negli States vi fosse già qualche morto da Covid-19 prima che il virus dilagasse in Cina. Si aggiunga che il 27 febbraio scorso Zhong Nanshan, un riconosciuto epidemiologo cinese, aveva affermato che sebbene il virus fosse apparso per la prima volta in Cina, ciò non significava che lì si trovasse la sua origine. Lo stesso Nanshan aveva successivamente precisato che “non possiamo comunque concludere che il virus sia giunto in Cina dall’estero”. Ma nel frattempo la sua prima dichiarazione era entrata (e non più rettificata) nei discorsi ufficiali dei diplomatici cinesi, e dell’agenzia ufficiale Xinhua: il “virus straniero”, di nuovo.

L’aggettivo è quello che oggi indica il nemico. Domani indicherà noi stessi.