laR+ IL COMMENTO

Damasco ‘liberata’ e dilemmi occidentali

Il rovesciamento di Assad pone molti interrogativi, dentro e fuori la Siria. E mette alla prova chi ha accettato il suo clan come diga anti-islamista

In sintesi:
  • L’influenza turca si è fatta sentire
  • Una nuova, esplosiva faglia nel cuore del Medio Oriente
Molte le questioni aperte
(Ti-Press)
9 dicembre 2024
|

‘Saidnaya’. Nome che nei siriani evoca l’atrocità del regime. Carcere militare, ‘mattatoio umano’. Per decenni centro di torture senza fine, e senza limiti. In quel centro di detenzione sono morti più di 17mila prigionieri, semplici oppositori e no. Ieri, lo schianto dei cancelli abbattuti. La liberazione di un fiume di disperati. Perfetta istantanea dell’imprevista improvvisa conclusione di una dittatura durata quasi quattro decenni. Gestita con ferocia da un clan famigliare, quello degli Assad, alawiti (radice sciita), minoranza dominatrice. Che si è liquefatta in una sola settimana. Sotto la spinta di una coalizione di 13 formazioni salafite. Perciò, possibile e temuto collasso della nazione araba che, come l’Iraq di Saddam, si proponeva quale regime laico e socialisteggiante. Resistendo con ogni metodo illecito. Mezzo milione di morti, città in cenere, palazzi squartati, bilancio della guerra civile (musulmani in rivolta armata) cominciata nel 2011 e dichiarata ‘vinta’ dal clan Assad sette anni dopo. Ma non c’era solo la violenza della forza. Il clan ‘famiglia’ di Damasco, infarcito di affaristi e corrotti, garantiva anche le minoranze nazionali (drusi, parte dei curdi, cristiani). Tuttavia Bachir Assad non sarebbe durato senza gli aiuti esterni: dell’Iran, che vi spedì migliaia di volontari martiri; dell’Hezbollah libanese eterodiretto dagli ayatollah di Teheran; dai bombardieri di Putin.

Ora, fine regno. Non con battaglie campali, ma con comoda avanzata verso sud, da Aleppo alla capitale. Liberata o occupata? Vincono le formazioni armate sunnite del “coordinatore” Muhammad al Jolani, qaedista della prima ora, approdato poi nell’Isis, che oggi si propone come interlocutore moderato e inclusivo (“lupo travestito da agnello”, per chi ne teme i propositi). Alle sue spalle, la Turchia di Erdogan, desiderosa di espansionismo neo-ottomano e nell’immediato di dividere e indebolire i combattenti curdi, sua ossessione. Ankara già si intesta il successo, e i possibili vantaggi, di questo colpo di mano. Ha fornito armi, dato consigli, suggerito il ‘timing’. Troppo ‘distratta’ la Russia (con le sue due basi navali sulla costa di Latakia, l’antica ambizione di “bagnare i piedi nel caldo Mediterraneo”), oggi impegnata sul fronte ucraino; troppo indebolito l’Iran semi-paralizzato nel suo quadrilatero. Nessuno stavolta può salvare Damasco.

Incognite, tante. E soprattutto il dilemma che, come un boomerang della Storia, rimette alla prova quell’Occidente che a un certo punto accettò gli Assad come diga anti-islamista. Meno preoccupati gli Usa: “Non è la nostra guerra”, ha già sentenziato Trump; soprattutto l’Europa; e le ‘ragionevoli’ monarchie del Golfo. Il dilemma: puntare a una sistemazione ‘soft’, con la Siria trasformata in nazione ‘cantonalizzata’, ogni tassello garanzia di sopravvivenza? Oppure, fallito questo disegno, rassegnarsi all’idea di un nuovo Califfato sotto regia turca: che col tempo accetti di entrare nell’area dei cosiddetti moderati arabi, tipo monarchie del Golfo a guida saudita.

Ma i vincitori di oggi sono un’accozzaglia di combattenti jihadisti forgiati nella ‘guerra santa’. Stile Isis, insomma. Il peggio per le minoranze laiche sconfitte. Misteriosa e velenosa scatola di Pandora per l’Occidente. E per Israele, già impegnato su molti fronti. Possibile nuova ed esplosiva faglia nel cuore del Medio Oriente. Oggi sinonimo di guerra. E di disumanizzazione senza speranza.