laR+ IL COMMENTO

Auto elettriche, il protezionismo non è più una parolaccia

Nonostante la crisi, è improbabile che avvenga una giravolta come col nucleare: l’industria automobilistica ha già investito cinquecento miliardi

In sintesi:
  • I francesi le chiamano wattures
  • Le auto elettriche sono mediamente più care di quelle a benzina o a gasolio del 20%
  • Appare poco realistica la data del 2025 quale limite per la cessazione della produzione di motori termici
Nel 2024 in Svizzera un calo delle vendite del 10%
(Keystone)
30 novembre 2024
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Con una sottile vena di sarcasmo i francesi hanno inventato un termine onomatopeico per definire le auto elettriche. Le chiamano wattures. Ebbene oggi – dopo l’euforia cui non è stato estraneo il solito Elon Musk, ormai assunto a Tigellino di Donald Trump – le wattures hanno perso smalto. Persino la Tesla del citato sodale di The Donald, in qualche modo il pioniere dei veicoli a batteria. L’imprenditore di origine sudafricana si era prefissato l’obiettivo di smerciare due milioni di auto nel 2024, ma nei primi due trimestri ha accusato un calo di vendite pari al 7%. Di conseguenza, salvo un miracolo, difficilmente riuscirà a conseguirlo. Come per altri costruttori, a far da argine alle sue velleità espansionistiche sono arrivate le auto elettriche del marchio cinese Byd, molto più a buon mercato, che già nel 2023 avevano strappato a Tesla il primato che deteneva da sempre.

Per stoppare l’avanzata delle wattures cinesi l’Unione europea, dimostrando che ormai il protezionismo non è più una parolaccia, ha previsto dazi fino al 35%. Il fatto è che le vetture elettriche di produzione cinese costano molto meno di quelle dei marchi Ue. Stessa politica protezionistica vuole adottare Donald Trump, mentre Elon Musk è un po’ ondivago sul tema e non si capisce se sia a favore o contro l’imposizione di dazi. Secondo l’imprenditore cinese Robin Zeng, uno dei maggiori produttori di batterie al mondo, in realtà il suo collega statunitense, pur fabbricando auto elettriche, di batterie non capisce nulla. Fatto sta che se andiamo a vedere i dati, nel 2023 la parte di mercato delle auto elettriche ha rappresentato in Cina il 66,8%, contro l’11,1 degli Stati Uniti e il 5,2 della Germania. Quanto alla Svizzera lo scorso anno il 2% delle immatricolazioni ha riguardato auto elettriche, mentre il 28% erano vetture ibride. Sono percentuali, quelle citate, che rendono poco realistico il 2035 quale data limite stabilita dall’Unione europea per la cessazione della produzione di motori termici, allo scopo di contrastare la crescita delle emissioni di CO2.

Oltretutto considerando i dati delle vendite di quest’anno, e guardiamo al caso svizzero, notiamo un calo del 10%. Il principale motivo è dovuto al fatto che, come rileva il Tcs, le auto elettriche sono mediamente più care di quelle a benzina o a gasolio del 20%. Mentre sussiste una certa confusione sui costi delle ricariche pubbliche, che oscillano tra 29 e 99 centesimi per kWh. Il problema è il medesimo nel resto dell’Europa, aggravato dal fatto che i redditi sono sovente assai più bassi che in Svizzera e, di conseguenza, esiste un ostacolo in più a procedere nell’elettrificazione del parco auto. A questo punto mi viene in mente un’intervista apparsa su Le Temps nel 2011 al professor Lino Guzzella, del Politecnico di Zurigo, specializzato in motori di nuova generazione. Definiva “un’aberrazione” l’auto elettrica, convinto che nel giro di qualche anno le termiche avrebbero fatto notevoli passi avanti in termini di diminuzione dei consumi.

Bisogna pure dire che una giravolta com’è avvenuta con l’energia nucleare appare improbabile, soprattutto se teniamo presente che l’industria automobilistica ha già investito cinquecento miliardi di franchi per il passaggio dal termico all’elettrico.