Integrazione con l’Occidente o mantenimento dello status quo? I due Paesi dell’Est hanno difficoltà a trovare un equilibrio con le resistenze interne
L’ultima battaglia in ordine di tempo è iniziata in Moldavia e si concluderà in Georgia. Da una parte l’integrazione europea, dall’altra il mantenimento dello status quo; il volere dei popoli contro astratte concezioni geopolitiche; l’essere membro a pieno titolo di una comunità moderna di diritti contro il rimanere uno Stato cuscinetto alla mercé del prepotente di turno.
In Moldavia il referendum Ue è stato approvato grazie a una differenza di poche migliaia di preferenze e grazie al voto della diaspora emigrata all’estero. La scelta pro-Europa è fatta, ma è fondamentale analizzare le ragioni della spaccatura nella società nazionale.
Primo: nella capitale Chisinau 4 dei 5 grandi quartieri hanno votato per l’abbraccio all’Ue; in quello più popolare “no”, come nel resto delle province. Lo stesso dicasi nella regione separatista della Transnistria (37 a 62%) e peggio ancora nell’entità autonoma della Gagauzia (5 a 94 per cento).
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La presidente moldava Maia Sandu
È vero, la Procura generale della Moldavia – uno dei Paesi col reddito pro capite più basso del continente – ha denunciato la distribuzione (da parte di personaggi legati alla Russia) di enormi quantità di denaro per comprare il voto anti-Ue, soprattutto nelle zone più povere, ma negare l’esistenza di un malessere è sbagliato. Una domanda: era proprio necessario legare una questione di tale importanza alle sorti della rielezione di un politico, la presidente uscente? Sorge un dubbio: non è che la scommessa di Maia Sandu sia stata azzardata?
Dati per assodati la straordinaria capacità di presa della propaganda del Cremlino sulle fasce più umili e di più bassa istruzione, l’appoggio dell’Amministrazione Putin anche a politici dalla dubbia reputazione (principalmente eurofobici e anti-Ue) è evidente che anche in Moldavia chi ha usufruito del benessere prodotto dall’avvicinamento all’Ue ha votato “sì”; gli altri – nostalgici di un passato dalla qualità di vita diversa – “no”.
È stato così nella Polonia post adesione all’Ue, dove dal 2014 per 8 anni, gli euroscettici ultranazionalisti hanno dominato la scena cavalcando la protesta degli “esclusi”.
Adesso è il turno della Georgia, dove lo scenario è differente, ma la posta in palio è di uguale importanza con i soliti noti ad agire dietro le quinte. Qui, però, esiste un “peccato originale”, rappresentato dai cinque giorni della guerra nell’agosto 2008 in Ossezia meridionale, i cui responsabili sono stati identificati dal rapporto Onu, redatto dall’elvetica Tagliavini.
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Manifestazione di piazza in Georgia
Dal 2012 l’oligarca Ivanishvili gestisce il potere. Questo magnate dei media ha sì permesso l’avvicinamento di Tbilisi ai Ventisette, ma anche una sorta di riappacificazione con Mosca. La recente approvazione di una legge liberticida – copiando Putin – gli ha appiccicato addosso l’etichetta di filo-russo. Alle Parlamentari il suo “Sogno georgiano” se la vedrà con una coalizione filo-occidentale. Conoscendo i georgiani, il rischio è alto che lo scontro dalle urne finisca nelle strade.
In conclusione, nei due Paesi più vicini all’Ue, qualcuno sta infilando il bastone tra le ruote della loro adesione. Il progetto europeo ha creato un “polo” attrattivo che ha ribaltato secoli di geopolitica. Per questo gli ultranazionalisti russi non possono più permettersi di non dare battaglia.