Partiti di maggioranza che fucilano il proprio governo, parlamento che si sostituisce al Consiglio di Stato, caos imperante: non ci guadagna nessuno
Il Plr che sulle finanze cantonali chiede meno pallottoliere e più visione è il partito del direttore del Dfe, Christian Vitta. La Lega che mercoledì ha annunciato festante l’adesione all’iniziativa che mira a tagliare il numero di dipendenti dell’Amministrazione cantonale, accusando il governo di non controllare la spesa, non è solo il movimento di un Norman Gobbi che negli ultimi anni ha gonfiato sempre più le fila della Polizia cantonale – dipendenti pubblici anch’essi – ma è pure, così di transenna, il partito di maggioranza relativa in quel tanto vituperato governo.
Presentando l’iniziativa popolare “Stop all’aumento dei dipendenti cantonali”, al tavolo erano seduti esponenti di partiti che rappresentano quattro quinti di un Consiglio di Stato che, fondamentalmente, hanno accusato di essere un inetto spendaccione che senza la prevedibile valanga di firme non farà nulla per frenare la spesa. Verrebbe da chiedersi se i partiti parlino ai propri eletti in governo. “Lo facciamo”, ci ha risposto mercoledì in conferenza stampa il deputato del Centro Gianluca Padlina. Ma “alla fine i tagli che si potrebbero fare sono sempre negli altri dipartimenti”. Dagli torto. E quindi si torna ai piedi della scala, con un centrodestra che è maggioranza schiacciante nel Paese, in Gran Consiglio e Consiglio di Stato ma che, per non sbagliare, preferisce fare anche opposizione e attaccare il suo governo per nascondere, a volte, le proprie responsabilità. Riguardo alle assunzioni nel settore pubblico, bacino bello grande e che fa molto comodo a tutti prima delle elezioni, ma anche, restando all’attualità, alla tassa di collegamento: attaccata e pronta a essere tumulata per via parlamentare anche da partiti che, sebbene senza entusiasmo, questo balzello sui posteggi nel 2015 in Gran Consiglio l’hanno voluto. Il giorno che Lega, Plr e Centro capiranno davvero che l’80% del Consiglio di Stato sono loro, magari riusciranno a rendere più difficile la vita a chi sta spadroneggiando a livello di agenda, temi e verve: l’Udc di Piero Marchesi, che a quei tavoli dove si attacca frontalmente il governo è sempre l’anfitrione. E che ai suoi commensali sta sempre più togliendo voce e voti.
La Svizzera ha una forza da sfruttare. Quando si entra in un governo in un sistema consociativo si ha la casacca di partito, ma si deve pensare al bene comune, al lavorare insieme e si deve essere pronti pure a difendere pubblicamente qualche scelta che personalmente si può trovare indifendibile: citofonare a Manuele Bertoli e chiedergli come ha passato 12 anni in governo. Ma questo non può trasformarsi in una debolezza il cui risultato è un parlamento che deve fare anche le veci del governo, come con la risoluzione della commissione ‘Giustizia e diritti’ sulle riforme per la magistratura. Quando si mischiano i piani vuol dire che la temperatura del termometro si sta alzando.
C’è tanta, troppa confusione nel Ticino politico di questi ultimi anni. Una confusione spesso dettata dalla mancanza di coraggio e dal navigare in una palude senza fine dove alle belle parole raramente seguono i fatti, e dove ai programmi reboanti da campagna elettorale seguono anni senza alcun guizzo. Ha ragione chi come il vicecoordinatore della Lega Frapolli chiede di finirla col dipartimentalismo – che arriva quando per collegialità non si intende lavorare insieme, ma evitare di pestarsi i piedi a vicenda – e di creare una visione comune per uscire dal pantano. Sarebbe il ritorno della politica e la fine della chiacchiera. Sarebbe l’auspicabile sussulto di cui si sente sempre più bisogno. Pia illusione.