Probabilmente neppure il più disinibito dei registi di porno avrebbe pensato di mettere in scena una storia tanto malvagia
Leggiamo su Wikipedia: “Mazan è un comune francese di 5’754 abitanti situato nel dipartimento della Vaucluse della regione della Provenza-Alpi-Costa Azzurra”. Fino a quattro anni fa era una località turistica a pochi chilometri da Avignone che, tra le altre cose, rimandava al Mont Ventoux, uno dei simboli leggendari del Tour de France. Poi, il 12 settembre del 2020 in un centro commerciale della regione venne arrestato un pensionato di Mazan, Dominique Pelicot, sorpreso a fotografare delle clienti sotto le gonne. Da allora quella località provenzale è diventata il simbolo dell’abisso in cui è sprofondata la provincia francese.
Seguendo i resoconti giornalistici del processo in corso sulla perversione senza fine di Pelicot ho trovato un’analogia con ‘Cane di paglia’, un film del 1971 di Sam Peckinpah. Un film ambientato in Scozia che, personalmente, ho fatto fatica a vedere fino alla fine per la violenza che trasuda. Ma torniamo a Dominique Pelicot. I poliziotti che l’hanno fermato danno un’occhiata al suo smartphone e rimangono allibiti. Il pensionato di Mazan vi conservava i video di una donna inanimata che veniva violentata da decine di uomini. In totale cinquanta stupratori. Tutte persone apparentemente per bene, la maggior parte con un lavoro e una famiglia, ma con l’abitudine di frequentare siti di incontri dove Pelicot, fino al momento dell’arresto ritenuto uomo integerrimo, li accalappiava, proponendo loro di fare sesso con sua moglie. Se qualcuno di quei cinquanta riteneva che Pelicot e la moglie fossero una coppia di scambisti, si sbagliava. Lei, Gisèle, oggi 71enne, era inconsapevole della sadica macchinazione del marito, che la drogava con un potente sedativo, per poi offrirla a degli sconosciuti. I quali, pur rendendosi conto dello stato della donna, ne approfittavano, accettando di farsi filmare da Pelicot.
Di tutta questa orribile vicenda, ci sembra proprio questo l’aspetto peggiore: dal luglio 2011 all’ottobre 2020 Dominique Pelicot ha trovato cinquanta individui disposti a stuprare sua moglie inanimata. Altri si sono tirati indietro all’ultimo momento, avendo fiutato aria di guai. Emerge, tra chi si è presentato a casa Pelicot, uno specchio inquietante della società francese: impiegati, camionisti, giardinieri, falegnami, pensionati, disoccupati. La vittima, Gisèle Pelicot, che durante quei rapporti subiti in uno stato di incoscienza ha pure rischiato di contrarre l’Aids, è diventata l’eroina di questa tragedia. Si è infatti presentata, accompagnata dalla figlia, mostrando il suo volto al processo in corso ai suoi carnefici.
I quali, ancora oggi, non hanno compreso l’entità dello sfregio infertole, poiché pensano che finiranno per cavarsela con una condanna leggera.
E questo è un altro punto che colpisce di questa storiaccia.
Nell’era del Me Too e della lotta al sessismo, quando si legge sui giornali di gente che finisce nei guai per una battuta sopra le righe, questi cinquanta provinciali francesi si sono prestati all’umiliazione di una donna, convinti di rischiare poco o niente. Sono cinquanta ma se Dominique Pelicot non fosse stato fermato, oggi – c’è da scommettere – sarebbero molti di più. Probabilmente neppure il più disinibito dei registi di film porno avrebbe pensato di mettere in scena una storia tanto perversa.