laR+ IL COMMENTO

Ssr, i rischi dell’equidistanza e un paradosso tutto ticinese

Non è soltanto una questione di budget: la posta in gioco va ben oltre i probabili 120 milioni di franchi in meno

In sintesi:
  • Il grande rischio sarebbe passare da equidistante a superfluo
  • il compito della Ssr non è per nulla scontato
  • La questione riguarda la pluralità dell’informazione in generale
Una votazione insidiosa
(Ti-Press)
20 giugno 2024
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Ha ragione Piero Marchesi, consigliere nazionale Udc, membro del comitato favorevole all’iniziativa ‘200 franchi bastano!’, nonché presidente per il 2024 della deputazione ticinese alle Camere federali: il servizio pubblico radiotelevisivo “può avere un futuro se sarà capace di fornire un’informazione di qualità, equidistante e in grado di rappresentare le varie opinioni senza censure e pregiudizi”, ha dichiarato di recente. Può avere un futuro, aggiungeremmo noi, qualora gli vengano in primis garantiti mezzi sufficienti per assolvere al suo mandato; e laddove il principio di “equidistanza” non diventi un alibi, una sorta di escamotage attraverso il quale provare a svolgere il proprio e delicato lavoro senza scomodare nessuno (pretesa vana), finendo per incarnare qualcosa un po’ più vicino alle pubbliche relazioni e un po’ meno al giornalismo (vecchio assioma orwelliano). Perché l’equidistanza racchiude una trappola: il grande rischio di passare da equidistante a superfluo, rischio che andrebbe scongiurato a tutti i costi. Soprattutto perché la posta in gioco va ben oltre i probabili 120 milioni di franchi in meno che la Ssr troverebbe (anzi, non troverebbe) nel suo budget dal 2029 in poi, sempre che l’iniziativa ‘200 franchi bastano!’ venga prima respinta dal popolo e che, in assenza di un controprogetto del parlamento, entri in vigore la modifica di ordinanza confermata ieri dal Consiglio federale che intende portare il canone dagli attuali 335 franchi ai 300 già annunciati lo scorso autunno.

La posta in gioco, si diceva. Si tratta in particolare del diritto della cittadinanza di disporre dei mezzi adeguati per formarsi un’opinione sugli avvenimenti che riguardano i vari livelli istituzionali: Comuni, Cantoni e Confederazione. Un’opinione politica, nell’accezione più classica del termine. E anche se il compito della Ssr non è per nulla scontato, dal momento che nell’equazione bisogna tenere conto delle divergenze linguistiche e culturali che compongono la Svizzera, preme ribadire che non è soltanto una questione di più o meno denaro a disposizione. C’entrano anche l’approccio, la determinazione e, perché no, una buona dose di umiltà: tutti elementi che potrebbero permettere all’emittente pubblica di dimostrare agli spettatori-elettori, in una specie di show televisivo permanente da qui alla votazione sull’insidiosa iniziativa, l’importanza della sua funzione.

E ha pure ragione il consigliere federale Albert Rösti, anche lui esponente Udc, quando spiega che il governo è contrario all’iniziativa per i 200 franchi perché, se dovesse essere accolta, “la quota del canone destinata alla Ssr si ridurrebbe a circa 630 milioni di franchi (circa la metà rispetto alla cifra attuale) e ciò rappresenterebbe un forte attacco alla sua struttura, così come all’intero settore dei media svizzeri”. Parole, quelle espresse dal capo del Datec, che mal si conciliano con le idee promosse dai suoi compagni di partito, imbarcati in una crociata ideologica contro la Ssr e contro la pluralità dell’informazione in generale.

Fatto sta che in questi tempi si è discusso a lungo, in Ticino ma non solo, di come ogni passo indietro nel settore pubblico – in ambito mediatico, pensionistico o quel che sia – diventi una sorta di preambolo di un arretramento ancora peggiore nel settore privato. A tutto ciò si aggiunge un paradosso esclusivamente ticinese: quello di voler mettere in discussione uno dei pochi meccanismi perequativi – se non l’unico – che attualmente favorisce il nostro cantone. Ma ormai è noto: da noi la coerenza non abbonda.