Il difficile rapporto tra fatti e memoria, tra accadimenti e racconto: un equilibrio inquinato dai bisogni dei popoli e di chi li comanda
E se la Storia servisse soprattutto a scatenare guerre, quelle combattute con le armi o anche solo con le idee?
Sappiamo che raramente i fatti storici coincidono con la memoria che abbiamo di essi. Tra storia e memoria, subentrano amnesie, l’erosione ineluttabile del tempo, manipolazioni, falsificazioni. Il lavoro dello storico consiste proprio nel togliere quella coltre di distorsioni e leggende che ci separa dalla realtà fattuale. L’intero percorso delle civiltà è segnato da tentativi di creare narrazioni ad hoc: già Erodoto, il “padre” degli storici, era ben cosciente che la condivisione di storie e leggende rafforzava il senso della comunità, “l’unica condizione nella quale l’uomo può vivere”.
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L’avanzata degli Alleati dopo lo sbarco
Con le commemorazioni degli ottant’anni dello sbarco in Normandia (6 giugno) il tema si ripropone suscitando uno stimolante dibattito attorno all’interrogativo centrale: la più massiccia operazione bellica della storia (10mila aerei, 5mila navi, oltre 130mila soldati di fanteria) costituì una svolta decisiva nella Seconda guerra mondiale? Fu quell’evento a segnare la sconfitta di Hitler come rivendicato per decenni dalla storiografia anglo-americana?
Oggi sappiamo che non fu proprio così, perché Hitler in quella tarda primavera del ’44 non avrebbe comunque più potuto vincere la guerra. Come scrive uno dei migliori studiosi di quel periodo, Nicolas Aubin, il successo dello sbarco e della battaglia di Normandia fu decisivo soprattutto per definire, in chiave pro-occidentale, gli assetti dell’Europa del dopoguerra. Mosca, che la guerra di aggressione in Ucraina ha depennato per la prima volta dalla lista degli invitati alle cerimonie commemorative, ha sempre sostenuto che la sconfitta nazista si consumò un anno e mezzo prima, quando le truppe del Terzo Reich furono sconfitte a Stalingrado. Altra verità molto parziale! Hitler dovette in realtà togliere delle truppe dal fronte orientale per spostarle in Nord Africa dove erano sbarcate le forze alleate. L’agiografia di regime russo occulta poi la più impresentabile delle verità: il Führer e Stalin si allearono per invadere la Polonia scatenando la guerra. Eppure ogni 9 maggio non troverete alcuna traccia dell’accordo Ribbentrop-Molotov nelle commemorazioni della “grande guerra patriottica”.
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Vladimir Putin il 9 maggio a Stalingrado
Anche nei due attuali conflitti che più ci toccano da vicino, l’uso strumentale del passato è palese. Nel suo discorso del marzo 2014 per giustificare l’annessione della Crimea, Putin aveva dichiarato che russi e ucraini appartenevano allo stesso popolo e che Kiev è la culla della Russia. Come ricorda lo studioso Marcello Flores, in realtà le nazioni moderne sono figlie del nazionalismo ottocentesco, ed è dai tempi di Pietro il Grande che gli zar avevano represso la lingua ucraina. Presunte verità, diatribe contraddistinguono naturalmente il più vecchio dei conflitti, quello israelo-palestinese. Storici e archeologi sanno perfettamente che il biblico esodo dall’Egitto è pura leggenda e che leggendari furono pure il personaggio di Mosè o il grande Regno di Davide e Salomone. Può sembrare paradossale, ma vi sono oggi ben più probabilità di trovare tra i discendenti degli ebrei biblici dei palestinesi (convertiti) di Gaza che non degli ashkenaziti dell’Europa orientale.
Se la memoria storica servisse unicamente a creare un’appartenenza comunitaria, la falsificazione dei fatti, come per il nostro Guglielmo Tell, sarebbe in fondo innocua. Il problema è quando diventa strumento di guerre e devastazioni.
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La statua di Guglielmo Tell a Losanna