laR+ IL COMMENTO

Consiglio di lettura ai politici cantonali

In vista del nuovo Preventivo, a quanti non si son mai confrontati col settore della disabilità l’invito è di ritagliarsi un’ora per leggere ‘Come D’aria’

In sintesi:
  • Un genitore, quando nasce un figlio con disabilità, a fronte dello sconforto inizia subito a pensare al suo futuro
  • L’obiettivo di raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2025 giustifica davvero la sottrazione di risorse a certi ambiti?
Il manifesto di una campagna di Pro Infirmis
(Keystone)
18 giugno 2024
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A dispetto della leggerezza evocata dal titolo, ‘Come D’aria’ è una di quelle letture che scuotono le fondamenta dell’anima. Vincitore del Premio Strega 2023, il libro racconta la relazione dell’autrice Ada D’Adamo con sua figlia Daria, che un apostrofo dopo la lettera D “trasforma in sostanza lieve e impalpabile. Nel tuo nome – scrive la madre – un destino che non ti fa creatura terrena, perché mai hai conosciuto la forza di gravità che ti chiama alla terra”. Daria infatti non cammina e mai potrà farlo a causa dell’altra accezione del termine “gravità” che, questa sì, la riguarda. Quella che si attribuisce a ciò che desta preoccupazione e che nel suo caso si accompagna a un altro termine che nei documenti la definisce: disabilità grave. “Che avresti pianto a lungo, per urlare la rabbia d’essere venuta al mondo storta, l’avrei saputo dopo. Ma allora no. Allora era ancora il tempo della letizia e dell’incanto”.

Fin dalle prime pagine si viene catapultati nella dolorosa intimità di un romanzo in forma di lettera rivolta a un’adolescente che non può capirla, in una realtà fatta di lunghi e faticosi ricoveri, di una stanchezza sfibrante, di una concitata apprensione per ogni primo giorno di scuola, di un esercito di amici e conoscenti che si dilegua, di un’enorme solitudine e di un amore incommensurabile. “Quando hai un figlio disabile cammini al posto suo, vedi al posto suo, prendi l’ascensore perché lui non può fare le scale, guidi la macchina perché lui non può salire sull’autobus. Diventi le sue mani e i suoi occhi, le sue gambe e la sua bocca. Ti sostituisci al suo cervello. E a poco a poco, per gli altri, finisci con l’essere un po’ disabile anche tu: un disabile per procura”.

Non tutti i giovani con bisogni educativi particolari sono dipendenti come Daria da svariati ausili e cure costanti. C’è ad esempio chi, come il figlio di una signora intervenuta a margine di una tavola rotonda organizzata due settimane fa dall’Associazione ticinese genitori e amici di bambini bisognosi di educazione speciale (Atgabbes), intitolata ‘Tagli cantonali e qualità di vita: quale futuro per le persone con disabilità?’, si vuole sposare e si cruccia per non essere affiliato a una cassa pensioni. D’altro canto non tutti i genitori di persone con disabilità sono come Ada, un’esistenza in simbiosi con quella della figlia, interrotta prematuramente da una malattia incurabile. Tutti però guardano con inquietudine all’avvenire. “Perché un genitore, quando nasce un figlio con disabilità, a fronte dello sconforto inizia subito a pensare al suo futuro”, ha affermato il presidente di Atgabbes al termine del dibattuto, riconducendo a una radice comune gli interventi precedenti il suo: “Chi si prenderà cura dei nostri figli quando saremo troppo anziani, quando non ci saremo più? Esisteranno posti per loro nelle strutture? Riceveranno le adeguate attenzioni?”.

Domande rimaste tutte senza risposta in quanto coloro che gli scenari futuri hanno il potere di determinarli – i politici che allestiscono i Preventivi e quelli che li votano – erano assenti. A quanti di loro non si sono mai confrontati con simili spaccati di vita, l’invito è di quantomeno ritagliarsi un’ora del proprio tempo per leggere ‘Come D’aria’ e alla fine chiedersi nuovamente se l’obiettivo di raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2025 giustifichi davvero la sottrazione di risorse al settore della disabilità – e in generale agli ambiti socio-educativi e sanitari – aggravando il senso di impotenza e incertezza di madri e padri che ogni giorno devono fare i conti con i limiti materiali e mentali, non dei loro figli, ma di una società che invece di orientarsi verso una maggiore inclusività sta invertendo la rotta.