laR+ IL COMMENTO

L’immobilismo si combatte facendo politica, non la solita melina

Il centrodestra, maggioranza in governo e parlamento, ha un anno e mezzo per portare avanti le riforme. Con un Plr che deve rivendicare il suo ruolo

In sintesi:
  • I liberali radicali mostrino la loro forza con un cambio di passo a livello di traino
  • Non è un discorso partitico, ma di dove chi ha i numeri vuole portare il Ticino
  • Si stili un’agenda degna di questo nome e si fissino le ormai mitologiche priorità
Il tempo intanto passa
(Ti-Press)
11 maggio 2024
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La baldanza democentrista sta vestendo un sempre più comodo doppiopetto governativo, e non potrebbe essere altrimenti visti i risultati ottenuti in questo ciclo di elezioni cantonali, federali e comunali. Se fino a pochi anni fa alla stampa nemmeno arrivavano gli inviti per i comitati cantonali, che erano poco più che una cena con applauso generale, quello di un paio di settimane fa ha avuto tutti i crismi del ‘parlamentino’ di un partito borghese e affermato, con le liturgie da copione, con due ore buone di discussione sullo scibile umano.

Di questo deve tenere conto innanzitutto la stessa Udc di Piero Marchesi, che avrà il compito di essere in grado di gestire il proprio successo e usare con sapienza il cruise control senza superare i limiti. Quando si è aiutati dal vento favorevole, il rischio è farsi prendere la mano. Con tutti i temi scottanti sul campo – soprattutto le votazioni del 9 giugno sulla riforma fiscale e le misure di compensazione per gli affiliati all’Istituto di previdenza del Cantone Ticino – è auspicabile che l’urlo non superi il ragionamento.

Un’Udc sempre più ‘adulta’ è una sfida anche per tutto il centrodestra. Non solo per una Lega che lotta strenuamente per rimanere socia di maggioranza in un’alleanza con i democentristi che, al netto del miele diffuso con imbarazzante generosità, non è esente da attriti, litigate e contrasti: non solo per questioni di poltrone. Ma è una sfida delicata e importante soprattutto per il Plr e per il ruolo che è chiamato ad avere come partito di maggioranza relativa in Gran Consiglio. Un parlamento che è frammentato, polarizzato, dove è difficile trovare compromessi che tengano. I liberali radicali sono chiamati a un netto cambio di passo a livello di agenda, presenza, compattezza e temi da portare avanti. Che siano più liberali e meno liberisti, che parlino sempre più di formazione, investimenti, posti di lavoro e dell’uscita dalla logica dei sussidi fini a sé stessi. Senza andare solo nella direzione del tagliarli semplicemente perché in alcuni casi sono esagerati o dedicati a fasce di reddito che in teoria non ne avrebbero bisogno, ma perché un individuo più può lavorare, realizzarsi e guadagnare, meno avrà bisogno di quel sussidio.

Non sono discorsi limitati all’azione di questo o quel partito ma che, coinvolgendo il centrodestra, si traducono nell’azione – o inazione – di una maggioranza parlamentare e governativa. Il ragionamento deve per forza di cose essere fatto d’insieme, ed è rivolto all’unico anno e mezzo di politica vera – chiamiamola così – che avrà questa legislatura, una volta smaltite le varie elezioni e prima che cominci la campagna elettorale per le prossime tra totonomi e totoliste. Continuare a dire che sempre meno gente vota e lamentarsi con profondo disdoro che è un gran peccato ha un’utilità relativa, se poi ci si ostina con indefessa abnegazione a non stilare un’agenda degna di questo nome, con tre o quattro priorità fissate e da perseguire con assoluta determinazione. Da noi intervistato il direttore del Dipartimento finanze ed economia Christian Vitta ha detto di temere l’immobilismo. Non si può che concordare. Ma sta alle forze politiche che compongono le maggioranze in Consiglio di Stato e in Gran Consiglio capire una volta per tutte che serve governare, non cincischiare con la solita, noiosa, trita e sconfortante melina. Si trovino – Plr, Centro, Lega e Udc – almeno per un caffè. Se non a Medeglia, almeno a Paudo.

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