Oltre al fascismo grossolano e tronfio di certi nostalgici, ce n'è uno più subdolo, che cerca di svilire la potenza della memoria e di chi ne scrive
C’è un fascismo grossolano, urlato e tronfio che rivendica con orgoglio ciò che andrebbe invece fermamente disconosciuto (per essere chiari, il Ventennio tutto, dal principio, senza mettersi a fare ridicoli distinguo tra un prima e un dopo, un Mussolini buono e uno cattivo, mischiando capre e cavoli, bonifiche e pensioni).
C’è poi un fascismo più subdolo, nascosto e – proprio perché non urlato – perfino più pericoloso. Questa forma di fascismo sottile è rimasta tra le pieghe dell’ultima polemica sul 25 Aprile, quella sulla censura Rai di un testo di Antonio Scurati, in cui – dopo aver elencato alcuni dei grandi misfatti della dittatura, partendo dall’omicidio Matteotti (10 giugno 1924, cent’anni fa) e chiudendo con le stragi nazifasciste del ’44 – lo scrittore rimprovera l’attuale governo italiano di non aver mai preso chiaramente le distanze da Mussolini.
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L’ultima fotografia scattata a Giacomo Matteotti prima della sua morte
Ma qui non è nemmeno più questione di identificarsi o meno in camicie nere, balilla in parata e olio di ricino, ma di disconoscimento della cultura in quanto tale e del suo valore, non solo morale e sociale, ma economico. Nel post di Giorgia Meloni seguito alle polemiche – in cui ha copiato e incollato il testo di Scurati – emerge quella visione oscurantista per cui il lavoro intellettuale non è lavoro e chi fa delle parole un mestiere dovrebbe imparare a vivere d’aria o considerarlo un hobby, magari trovandosi un impiego vero.
Prima Meloni scrive chiaro e tondo che 1’800 euro (“lo stipendio mensile di molti dipendenti”) per un minuto di monologo sono troppi; poi aggiunge “lo pubblico qui io… e spero di non dover pagare”. Il messaggio che passa è sprezzante: per carità, possiamo anche discutere sul fatto se siano tanti o pochi 1’800 euro per un testo di uno degli scrittori italiani oggi più in voga. Inaccettabile è ridurre il tutto a “quanto mi costi per un minuto di monologo”. Tu non paghi il minuto di monologo, ma un tempo ben più ampio, quello dedicato dall’autore allo studio e al perfezionamento della sua scrittura; paghi la preparazione e la professionalità che stanno dentro al monologo, che è cosa ben diversa. Sarebbe come valutare lo stipendio dei meccanici di Formula 1 solo in base ai pochi secondi di un cambio gomme o la parcella di una visita medica dalla durata e non dall’efficacia della diagnosi.
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Benito Mussolini
Le parole di chi con le parole lavora non devono, non possono essere gratis (un equivoco che da tempo affligge i giornali) e denigrarne il valore (intrinseco ed economico) è il primo passo verso l’ignoranza e verso quell’altro fascismo, quello di grana grossa, ben rappresentato da certe chiamate a “La zanzara”, il programma di Radio24 che sdogana i fascisti dando loro voce, sì, ma esponendoli al pubblico ludibrio, alla pochezza dei loro argomenti e all’inefficacia della loro asineria.
Citando l’omicidio Matteotti, all’alba del fascismo, e poi le stragi di vent’anni dopo, al suo tramonto, Scurati ci ricorda non solo che tutto quell’arco temporale è da condannare, ma che i fatti vanno studiati e compresi. Per chi non trova il tempo di farlo, c’è il lavoro degli intellettuali, che quei fatti li studiano, li comprendono e poi li riassumono per noi. Se serve – e se sono abbastanza bravi – anche in un minuto di monologo.
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Lo scrittore Antonio Scurati