Il partito di maggioranza relativa si è schierato contro la maggioranza del Parlamento che ha votato per la proibizione dei simboli nazisti in Svizzera
Meritava certamente maggiore attenzione il voto della scorsa settimana al Nazionale, che, seguendo quanto già auspicato al Consiglio degli Stati, ha chiesto il divieto in Svizzera di simboli nazisti e razzisti. Decisione doverosa – è stato spiegato –, in seguito all’aumento di fenomeni di antisemitismo registrati anche nella Confederazione dopo la strage anti-ebraica del 7 ottobre in villaggi e kibbutzim israeliani confinanti con la polveriera di Gaza, poi ridotta in enorme cimitero a cielo aperto dalla spropositata, inaccettabile ritorsione militare di Tsahal (33mila morti palestinesi, per buona parte bambini).
Su questa motivazione si potrebbe anche discutere: troppo spesso i difensori ‘a prescindere’ di Israele definiscono antisemite critiche legittime nei confronti di Israele e della sua spinta coloniale (territori occupati), che ora la parte della coalizione più oltranzista nazional-religiosa alleata (indispensabile) di Netanyahu vorrebbe portare all’estremo con la totale annessione della Cisgiordania e della stessa Gaza. Possibilmente espellendo verso i Paesi vicini il maggior numero possibile di abitanti.
Rimane il fatto che chiedere la messa al bando di simboli di natura nazional-socialista è proposito condivisibile in sé; lo è ancora più mentre cresce una destra-destra senza scrupoli che in Europa ingloba (come l’Afd in Germania) e autorizza (come nell’Ungheria di Orbán) manifestazioni e incitamenti di esponenti neonazisti. E qui torniamo al voto delle nostre Camere. L’unico schieramento che ha bocciato la risoluzione è stato l’Udc. In nome della ‘libertà di espressione’. Come se fosse accettabile lo sconcio di riproporre tesi razziali (e non fu il caso del comunismo) che, con l’Olocausto e la tesi delle ‘razze inferiori’ (non solo l’ebraica), portarono alla peggior strage del secolo scorso.
Ma nel voto dei deputati democentristi c’è stata un’altra motivazione, e un altro ignobile tentativo. Con violenta e assurda forzatura storico-concettuale, è stata così formulata: i casi registrati dopo il 7 ottobre non sono provocati dai nazisti, “bensì sono legati all’immigrazione da Paesi extraeuropei”. Parole della consigliera nazionale zurighese Barbara Steinemann. Palese ignoranza, ma più probabilmente ridicola e pretestuosa stigmatizzazione dei migranti indicati quale fonte primaria di antisemitismo come di ogni altro problema delle nostre società.
Brutta pagina che segue, o rispecchia almeno in parte, quella registrata di recente all’interno stesso del partito svizzero di maggioranza relativa. La responsabile della strategia del suo movimento giovanile, Sarah Regez (nella vita compagna del neopresidente del partito Niels Fiechter), ha partecipato a un incontro ‘segreto’ con esponenti di estrema destra di ‘Junge Tat’, presente Martin Sellner, già leader austriaco del Movimento Identitario, al quale la polizia argoviese ha impedito di tenere un comizio e di soggiornare nel cantone.
Una condotta, quella della Regez, che ha provocato la salutare contrarietà di diverse sezioni giovanili democentriste (non quella ticinese) che in alcuni casi hanno addirittura chiesto le dimissioni della ‘zarina’ d’estrema destra a cui il partito ha assegnato l’incarico. Nell’Udc ci si è difesi con la solita nenia di un caso montato dagli avversari politici, aggiungendo che comunque “i panni sporchi si lavano in casa”. Ma qui non si tratta soltanto di sporcizia. Bensì di autentici, maleodoranti veleni.