Le dimissioni di Aldi, la marcia indietro di Bignasca, il silenzio del gruppo in parlamento, gli stracci che volano in privato… e i timori per Lugano
Così non si poteva andare avanti e la Lega dei ticinesi l’ha capito. Serviva un capro espiatorio per uscire dalla più che imbarazzante vicenda del caos nomine in Magistratura e quel capro espiatorio è stato trovato nella stessa protagonista della vicenda, la da ieri dimissionaria – per davvero, non come Boris Bignasca – vicecapogruppo Sabrina Aldi. A lei va dato l’onore delle armi e il rispetto umano che questo opportuno passo indietro merita. Ma al gruppo parlamentare leghista – a tutto il gruppo parlamentare leghista – occorre dire che, però, così non si fa. Cercare e trovare la testa da offrire perché qualcosa bisognava fare può essere giusto in termini generali, meno invece nel concreto. Lunedì in Gran Consiglio Sabrina Aldi è stata attaccata lancia in resta da vari granconsiglieri, senza che nessuno in casa sua – né il capogruppo, né qualsiasi deputato – abbia alzato un dito per difenderla. L’unica cosa che è riuscito a fare Bignasca in replica agli attacchi frontali di Matteo Pronzini è stato il chiedergli di farsi dare una copia del nostro giornale perché i chioschi stavano per chiudere. Un pugno di sabbia lanciato controvento.
Per carità, i panni sporchi si lavano in famiglia. Ma è facile, troppo facile amico (cit.) cavarsela così fischiettando in parlamento, davanti a tutti e con la stampa presente, per poi scatenarsi alla inveterata ricerca di una testa da offrire che, sia come sia, appartiene a una persona che è stata lasciata sola da chi in questi giorni ciancia di possibili “leggerezze” proprie e “tonfi” altrui quando si stava parlando di nomine in Magistratura, non di chi mettere nella formazione del fantacalcio.
Sorge poi un interrogativo (di fondo), che ripropone peraltro quello sull’opportunità della doppia funzione ricoperta da uno dei due consiglieri di Stato leghisti. Norman Gobbi, capo del Dipartimento istituzioni, ma soprattutto, in questo caso, coordinatore del movimento, si è accorto solo a giochi fatti o quasi fatti del (perlomeno) potenziale conflitto di interessi nel quale l’allora vicecapogruppo e seconda vicepresidente della commissione parlamentare ‘Giustizia e diritti’ si è trovata nel sostenere a spada tratta un candidato procuratore pubblico il cui padre è amministratore della società della quale lei è direttrice amministrativa? È possibile che il timoniere di un partito non sapesse nulla? E se sapeva – intravedendo, da politico navigato e scafato quale è, le polemiche e le dure critiche alla Lega anti-cadreghe divenuta Lega delle cadreghe, per giunta nell’imminenza delle elezioni comunali –, per quale motivo non è intervenuto? Perché non ha interrotto l’operazione politicamente suicida? Se sapeva prima che le proposte di nomina di pp e giudice supplente d’Appello venissero formulate dalla commissione al plenum del Gran Consiglio, come è possibile che non abbia colto l’inopportunità della sponsorizzazione da parte di Aldi di quella candidatura? “Abbiamo commesso una leggerezza”, ripete il deputato e avvocato Alessandro Mazzoleni. Ma nel selezionare futuri magistrati, ribadiamo, le leggerezze non sono ammissibili.
Il movimento di via Monte Boglia è in accelerata perdita di consensi. Teme per la tenuta a Lugano: teme una sconfitta nella Città in cui si giocano i destini a livello cantonale di buona parte dei partiti. I fratelli Giuliano e Attilio Bignasca ricordavano a più riprese che la Lega è uno stato d’animo. L’animo (sociale?) è nel frattempo svanito. È rimasto lo stato: quello di salute, assai precario, del movimento. A questo punto difficilmente le porte delle assemblee leghiste potranno restare chiuse a malumori interni e stampa.