laR+ IL COMMENTO

Galileo, la marea sindacale e la politica del venti per cento

La massiccia protesta dei dipendenti pubblici non riguarda soltanto loro: si contesta l’orientamento generale delle politiche economiche di questo cantone

In sintesi:
  • Ciò che fa o non fa lo Stato con i suoi dipendenti costituisce un segnale inequivocabile per l’intero tessuto socioeconomico
  • Nei giorni precedenti tutto l’apparato politico-economico-mediatico si era allineato per stigmatizzare la protesta
Una mobilitazione che ha visto scendere in piazza migliaia di persone.
(Ti-Press)
1 marzo 2024
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C’erano almeno due cose che Galileo Galilei non poteva sapere quando, nel 1616, scrisse il suo ‘Discorso del flusso e reflusso del mare’. La prima era che la sua teoria fosse sbagliata: ad aver ragione fu Keplero, che sette anni prima aveva suggerito che le maree fossero determinate dall’attrazione gravitazionale della Luna e non dalla rotazione terrestre. La seconda cosa che Galileo ignorava è che, secoli dopo, l’idea del flusso e riflusso sarebbe diventata un concetto chiave nell’interpretazione delle dinamiche inerenti alle lotte sociali.

In Ticino, ai giorni nostri, la forza gravitazionale esercitata dalla “vittoria” ottenuta dopo le mobilitazioni di novembre e gennaio scorsi – ovvero lo stralcio dal Preventivo 2024 della decurtazione del 2% sui salari dei dipendenti pubblici –, ha portato a un innalzamento della marea sindacale. Infatti, la triade ErreDiPi-Vpod-Ocst ha ritenuto che il mancato riconoscimento del carovita e l’accoglimento in Gran Consiglio della proposta che prevede la non sostituzione dei partenti – docenti compresi – nella misura del 20%, fossero motivi più che sufficienti per confermare un’azione di protesta piuttosto inusuale: lo storico sciopero andato in scena ieri. Una mobilitazione che ha visto scendere in piazza migliaia di persone.

È interessante osservare come nei giorni che hanno preceduto questa manifestazione pacifica di dissenso – un diritto costituzionale dei lavoratori, tra l’altro –, tutto l’apparato politico-economico-mediatico (quello “indipendente” e “libero”) si è allineato per stigmatizzare la protesta. Si è sentito un po’ di tutto: da noi queste cose non si fanno; sono una casta di privilegiati; lo sciopero gli si ritorcerà contro come un boomerang. Tale narrazione è stata poi accompagnata dalla strumentale “diagnosi” che vede all’orizzonte l’inevitabile apocalisse dello sforamento del freno ai disavanzi per via dell’accumulo di deficit a consuntivo, e l’altrettanto inevitabile aumento delle imposte per tutti.

Le cose però non stanno così. Un aumento delle imposte non è automatico: richiederebbe il consenso di due terzi del parlamento, maggioranza oggi inesistente. Il Consuntivo 2023 – ha appreso laRegione da fonti più che autorevoli del Dfe – chiuderà sì in negativo, ma parecchio meglio rispetto all’ultima previsione: a cascata ciò comporta una revisione migliorativa pure in prospettiva. Ergo: la situazione delle finanze cantonali è complessa ma non tragica.

Fatto sta che la massiccia protesta dei dipendenti pubblici non riguarda affatto soltanto loro: ciò che fa o non fa lo Stato – principale datore di lavoro in Ticino – con i suoi dipendenti costituisce un segnale inequivocabile per l’intero tessuto socioeconomico.

In fondo ciò che la piazza sta contestando non è soltanto una certa misura o l’altra, ma l’orientamento generale delle politiche economiche di questo cantone: quello in cui con una mano si mira a cancellare il 20% dei posti di lavoro nel settore pubblico, mentre con l’altra si punta a ridurre del 20% l’aliquota massima dell’imposta sul reddito. È proprio questo l’orientamento che verrà messo alla prova la seconda domenica di giugno, quando si andrà a votare sulla riforma fiscale e – forse – anche sulle misure di compensazione per l’Ipct.

Nota per fisici, meteorologi e superstiziosi: il fine settimana dell’8 e del 9 giugno sarà quello dei primi giorni dopo la Luna nuova, uno dei momenti coincidenti con la massima ampiezza delle maree.

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