In tempi di Sanremo chi è l’archetipo del brano di Cutugno? Amadeus? Fiorello? Il popolo social che va dove gira il vento? O il tuttologo Aldo Cazzullo?
Nei giorni in cui l’Italia celebra e replica all’infinito sé stessa con riti che sconfinano nel religioso (il bravo conduttore, i fiori, le polemichette che diventano casi nazionali, il voto da casa, Gianni Morandi, le giovani promesse, i soliti stronzi e i venerati maestri), viene voglia di capire chi sia l’“italiano vero”, topos generato proprio sul palco sanremese, nell’ormai lontano 1983, da Toto Cutugno.
È Amadeus, uno e trino? La sua stampella Fiorello? Ornella Muti che guida la rivolta dei trattori? Quelli che spendono migliaia di euro per una poltrona all’Ariston? Chi non se ne perde un secondo? Chi ci tiene a far sapere che non lo guarda? John Travolta, figlio di Salvatore e nipote di un “siciliano vero”, a suo agio con la barba tinta o nel 2006 a massaggiare sul palco i piedi di Victoria Cabello, un po’ meno con “Il Ballo del Qua Qua”? O Russell Crowe, che voleva talmente tanto un avo italiano che alla fine - a forza di cercarlo - l’ha trovato all'anagrafe del 1829, tal Luigi Ghezzi da Ascoli Piceno?
I più italiani di tutti - così a naso - sembrano quelli che una sera osannano Travolta perché tiene il broncio alle papere e il giorno dopo salgono sulla biga del Gladiatore Crowe, che prende in giro in diretta quel che resta del fu Tony Manero. Questi voltagabbana social ricordano le piroette, molto italiane, nelle Guerre Mondiali, dove si faceva sempre in tempo ad allearsi con chi vinceva.
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Amadeus con Russell Crowe sul palco di Sanremo
In tutto questo bailamme ci si è già dimenticati di Jannik Sinner, il superospite più desiderato che – saggiamente (e poco italianamente) – ha declinato l’invito (l’altra notte Mengoni e Fiorello giocavano a tennis davanti all’Ariston sopra una strana moquette, e forse era quella la fine che gli sarebbe toccata in sorte). Gettato nel tritacarne dell’italianità per il solo fatto di essere nato in Alto Adige anziché a Roma o a Pozzuoli - e additato dai puristi della razza con l’anima insozzata - Sinner ha avuto un odiatore speciale, uno che come pulpito ha tv e prime pagine dei giornali, non il bar sotto casa o i 324 amici di Facebook: l’italiano vero Aldo Cazzullo.
Il tuttologo del Corriere della Sera ha pensato bene di attaccare frontalmente Sinner, reo di avere la residenza fiscale a Monaco. Il succo è che, insomma, un “italiano vero” non fa così. Chiaro che c’è anche un beneficio economico per Sinner, ma nei giorni scorsi un articolo dell’Ultimo Uomo ha spiegato bene tutti gli altri vantaggi del vivere nel Principato (strutture all’avanguardia, avversari di livello con cui allenarsi, sole 300 giorni l’anno e la possibilità di uscire – ricco tra i ricchi – senza essere fermato ogni tre secondi) per i migliori tennisti al mondo, e infatti è pratica comune. Di tutte queste cose Cazzullo non si cura: per sparlare su tutto, si sa, meglio non saperne niente, senno poi vengono fuori i dubbi e i dubbi sono veleno per i tuttologi. E così spara a zero sul campione, tanto lui tifa lo spagnolo Nadal, di cui glorifica la residenza alle Baleari (dove è nato e vive, ma dove c’è anche una tassazione agevolata).
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Sinner se la ride, scampato pericolo
L’onnipresente Cazzullo, che scrive senza informarsi come un twitterino qualsiasi e tifa per uno di un altro Paese per ripicca, dimentica di essere lui stesso un privilegiato che occupa – moltiplicando fama e guadagni – giornali, tv, radio, librerie, eventi, togliendo spazio ad altri. E dimentica anche di avere un figlio poco più che ventenne alla Gazzetta dello Sport (stessa proprietà del Corsera, il caso a volte), tradendo un certo familismo, tratto dominante e inscalfibile – molto più del rovescio da fondo campo – dell’italiano vero.