Scaramucce, ma nessuno stravolgimento nel rinnovo del Consiglio federale. Dimostrazione di potere del campo borghese, piccolo psicodramma a sinistra
Avevano tutti una loro logica i piani segreti (?) sfornati nelle ultime settimane a cadenza quasi quotidiana dai giornali svizzero-tedeschi. Però mancava sempre l’essenziale: l’interesse superiore. Ad esempio: per quale fondamentale ragione l’Alleanza del Centro avrebbe mai dovuto innescare una crisi istituzionale scalzando già adesso Ignazio Cassis (Plr) dal Governo, dopo aver ripetuto alla nausea che mandare a casa un consigliere federale in carica è una cosa che non si fa?
Molti alla vigilia paventavano un’elezione rocambolesca, fuori dai canoni. Invece no. Benché non scevro da scaramucce, il rinnovo integrale del Consiglio federale – comprensivo della sostituzione di Alain Berset (Ps) – non ha portato ad alcun stravolgimento: è stato eletto il favorito Beat Jans, ossia un candidato ufficiale del suo partito; i Verdi non sono riusciti nemmeno a fare il solletico a Cassis, fallendo nell’ennesimo tentativo di entrare nella stanza dei bottoni; e bene o male la tanto discussa formula magica di governo (due seggi ciascuno ai primi tre partiti, uno al quarto), in vigore dal 1959, conserva la sua stantia magia.
È probabile che a prevalere alla fine sia stata semplicemente la paura di farsi (troppo) male, di esporsi (troppo) e di dover subire prima o poi (troppe) rappresaglie. Ma questo Udc, Plr e Centro – alleati di fatto in quella che è stata una vera e propria dimostrazione di potere del campo borghese – non lo dicono. Preferiscono compiacersi per il trionfo della “stabilità”, per la riaffermazione della “concordanza”. Una concordanza che – of course – declinano a proprio piacimento, ognuno secondo i propri interessi. Che non sono beninteso quelli della sinistra. Pardon, dei Verdi.
Gli ecologisti già un anno fa, quando scelsero di non presentare un loro candidato alla successione di Simonetta Sommaruga (Ps), denunciarono “il cartello del potere” dei partiti di governo. Ieri sono tornati a farlo con veemenza: stavolta però nel mirino hanno messo gli ‘amici’ socialisti, rei di non aver sostenuto in modo compatto Gerhard Andrey. Anche con tutti i 50 voti socialisti non sarebbe cambiato nulla. Ma da un partito che ancora poco prima delle elezioni andava dicendo che la sinistra unita doveva far saltare il blocco borghese in Consiglio federale, era lecito che i Verdi si aspettassero qualcosa di più. Lo psicodramma comunque non dovrebbe avere strascichi di rilievo. Anche per il semplice fatto che le due forze politiche sono condannate a lavorare assieme, se vogliono continuare a ‘pesare’ in Parlamento e fuori. E forse tutto sommato per i Verdi è meglio così: «La [nostra] relazione era già di per sé complicata. In fondo è una liberazione», ha dichiarato il presidente dimissionario Balthasar Glättli.
Il Ps può continuare a guardare i suoi ‘cugini’ dall’alto verso il basso, anche se ieri pure lui ha avuto le sue gatte da pelare (il diffuso malcontento suscitato dal ticket ufficiale, cristallizzatosi nella settantina di voti andati al sempiterno candidato ‘selvaggio’ Daniel Jositsch). Inoltre adesso può quantomeno vantare un consigliere federale con tutte le carte in regola (Jon Pult ne aveva un po’ meno, ma potrà sempre riprovarci fra 8-10 anni), espressione di quella Svizzera urbana – Beat Jans, come ha tenuto a sottolineare, proviene da una città-cantone non solo ricca ma anche «aperta» – che al momento non è rappresentata in Governo.
La fronda sul ticket socialista, lo score mediocre fatto segnare dai ‘ministri’ uscenti (quelli del Plr in particolare): forse sono il preludio a un più vasto e auspicabile dibattito (o meglio: a una ancor più accesa battaglia politica) sulla composizione del Consiglio federale. Alleanza del Centro e Verdi continueranno a volteggiare sul vacillante secondo seggio del Plr. Se ne riparlerà. Al più tardi nel 2027.