laR+ IL COMMENTO

Capovolgimento regressivo, dal parlamento ai bidet

La maggioranza del Gran Consiglio è riuscita a imporre la volontà dei suoi clienti e padroni con una riforma fiscale tanto iniqua quanto inopportuna

In sintesi:
  • Da capovolgere sarebbero anche certe logiche che al giorno d’oggi guidano la politica economica del Canton Ticino
  • Era già chiaro a priori che la vera partita non si sarebbe giocata in aula
  • Sarà forse meglio cominciare ad abituarsi a questa nuova dinamica ‘democratica’
Un’aula vuota di sostanza
(Ti-Press)
13 dicembre 2023
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Soleva dire il giovane Marx che il vecchio Hegel aveva visto giusto: riteneva però che la dialettica hegeliana, per essere davvero efficace, andasse capovolta e sprovvista di ogni traccia di “misticismo logico”.

Da capovolgere sarebbero anche certe logiche che al giorno d’oggi guidano la politica economica del Canton Ticino: ce l’hanno fatto capire i professori Sergio Rossi e Mario Jametti in una recente intervista concessa a laRegione. “Idealmente – afferma Rossi –, la politica dovrebbe decidere prima i bisogni da soddisfare, per poi definire quante entrate correnti servono e come finanziarsi attraverso le imposte”. Le cose però non stanno così, anzi: ieri una “solida” maggioranza (Plr-Lega-Udc), in un Gran Consiglio vuoto di sostanza, è riuscita a imporre la volontà dei suoi clienti e padroni, approvando una riforma fiscale tanto iniqua quanto inopportuna.

Sono tali le carenze del parlamento che già a priori era chiaro che la vera partita non si sarebbe giocata in aula, ma al momento in cui il popolo sarà chiamato a esprimersi nello scontato referendum ribadito a più riprese dal fronte progressista.

Sarà forse meglio cominciare ad abituarsi a questa nuova dinamica “democratica”: un potere esecutivo ridotto all’applicazione di meri esercizi contabili che non contemplano alcuna visione di politiche di Stato; un parlamento composto per la maggiore da rappresentanti degli interessi di pochi, che si concede spudoratamente di sancire leggi ‘à la carte’; una cittadinanza che inizia, timida, a manifestare il proprio disagio.

D’altronde l’approvazione della riforma fiscale è un ulteriore passo all’interno di un piano “ben concepito”: la ridistribuzione regressiva della ricchezza che scaturisce dalla riduzione delle aliquote massime dell’imposta sul reddito va nella direzione di un ridimensionamento delle funzioni dello Stato. Oppure capovolta: i tagli alle prestazioni e ai servizi dell’ente pubblico contenuti nella manovra di rientro varata dal governo sono il presupposto che consente e garantisce a medio-lungo termine un alleggerimento dell’onere fiscale per i grandi contribuenti. Il disgiungimento delle due trattande voluto dalla maggioranza del parlamento (riforma fiscale ora, preventivo 2024 e manovra rimandati a gennaio) è l’ennesima prova della scaltrezza della destra morisoliana che continua, indisturbata, a dettare l’agenda politica di questo Cantone. Tutto ciò, tra l’altro, con buona pace di quella povera marionetta che ancora alla vigilia del dibattito chiamava alla moderazione nei confronti dell’esecutivo e a una “chiara distinzione” tra politica fiscale e quella finanziaria: come se spese e ricavi dello Stato riguardassero due entità diverse e solo qualche “illuminato” se ne fosse accorto. Quanta ipocrisia…

Ma se di capovolgimenti si tratta, può valer la pena, a mo’ di sintesi, menzionare il caso di uno dei più ferrei (e disinteressati, per carità) sostenitori di questa riforma: quel noto imprenditore che, nel suo affanno per giustificare la bontà degli sgravi a favore dei più facoltosi ha fatto capire di essersi convinto (forse per deformazione professionale) che la legge fisica che governa la creazione e la distribuzione della ricchezza sia esattamente inversa a quella che regola il funzionamento del getto dei bidet.

Che poi, nella remota ipotesi di uno sgocciolamento (finora non pervenuto), sia davvero ricchezza quel che arriva, non è nemmeno detto.