laR+ IL COMMENTO

L’outsider Milei, tra discontinuità e distanza

In un contesto di totale disperazione il leader libertario ha saputo, con maniere brutali e atipiche, infondere nelle persone una strana forma di speranza

In sintesi:
  • Il 10 dicembre, quando assumerà la presidenza, si compieranno 40 anni dal ritorno della democrazia
  • Mai Bellinzona e Buenos Aires sono state così lontane come domenica scorsa
  • Per molti l'elezione di Milei è ‘un salto nel vuoto’
Fra pochi giorni si ritroverà a capo di una nazione spaccata socialmente
(Keystone)
21 novembre 2023
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Tra Bellinzona e Buenos Aires ci sono undicimiladuecentoventicinque chilometri di distanza. Mai però queste due città sono state così lontane come nella notte tra domenica e lunedì. Mentre il Ticino si addormentava dopo l’ebbrezza elettorale del ballottaggio per il Consiglio degli Stati, in Argentina lo spoglio di un altro ballottaggio, quello per le Presidenziali, confermava la netta vittoria di Javier Milei: l’outsider di estrema destra che il prossimo 10 dicembre assumerà la massima carica istituzionale della nazione; lo stesso giorno in cui si compieranno quarant’anni dal ritorno della democrazia argentina, dopo i quasi otto lunghi e bui anni della dittatura militare. Paradosso o meno, tra le fila del candidato più votato domenica in quasi tutte le province del Paese ci sono diversi personaggi che hanno più volte rivendicato il ruolo dei militari, invocando giustizia per quelle presunte “vittime” del “terrorismo sovversivo”.

Milei ha vinto promettendo uno stravolgimento totale delle regole del gioco politico, economico e sociale. Ha dalla sua l’onestà, se si vuole, di averlo dichiarato apertamente durante la campagna: dollarizzazione, abolizione della banca centrale, privatizzazioni à gogo, drastica riduzione del deficit fiscale, apertura indiscriminata dell’economia, mano dura contro i criminali, disinvestimento dello Stato nell’educazione e nella salute pubblica. La gente, stanca dagli insuccessi della politica tradizionale, confrontata con un’inflazione annua del 140% e una povertà dilagante, gli ha creduto e lo ha premiato con un sostegno massiccio alle urne. Anche se non è chiaro a nessuno quante di tutte quelle promesse elettorali il leader libertario riuscirà davvero a portare a termine. In un contesto di totale disperazione, Milei ha saputo, con maniere brutali e atipiche (iconica è la sua immagine con la motosega in mano), infondere nelle persone una strana forma di speranza.

E sta proprio qui l’enorme distanza che separa la Svizzera dall’Argentina. Distanza ingigantitasi durante la domenica di votazioni: per il sistema-paese elvetico nel suo insieme l’avanzata dell’Udc, la crisi del Plr e la retrocessione dei Verdi, non rappresentano un cambiamento radicale di paradigma. Dopo le elezioni federali il governo della Confederazione sarà ancora composto da sette membri secondo la “formula magica”; in Ticino continueremo a discutere di frontalieri, sgravi fiscali e rigore finanziario; la vita di tutti i giorni andrà avanti tale e quale a prima. In Argentina no. L’elezione di Milei rappresenta “un salto nel vuoto”, “un viaggio verso un territorio mai esplorato”, “una falla del sistema”: le analisi e le opinioni dei vari osservatori locali coincidono nel definire “dirompente” la vittoria del candidato libertario, un chiaro segnale di discontinuità assoluta con tutto quello che il Paese ha conosciuto finora.

Economista ortodosso, devoto della scuola austriaca e fanatico del monetarismo, Milei si ritroverà fra pochi giorni a capo di una nazione spaccata socialmente (in Argentina la chiamano la “grieta”). Il suo modello di riferimento è l’ex presidente Carlos Menem, peronista di destra che arrivò al governo in anticipo, nel bel mezzo di una iperinflazione. L’ultra-liberista decennio di Menem fu la precondizione necessaria al collasso argentino del 2001: vent’anni dopo il Paese è di nuovo lì, alla ricerca di una via di uscita.