laR+ IL COMMENTO

Jannik Sinner il Supergiovane

‘È il nuovo Djokovic’, dice Panatta in un doppio passaggio di consegne. Comunque sarà, gli italiani davanti alla tv hanno fatto un salto di qualità

In sintesi:
  • Nei giorni della Sinner-mania, ricordi della Panatta-mania di metà anni 70
  • Se anche non saranno i trofei di Nole e nemmeno la classe di King Roger, quel poco di normalità e buona educazione dai capelli rossi a noi telespettatori bastano e avanzano
Corsi e ricorsi storici
18 novembre 2023
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Dalla vittoria di Francesca Schiavone al Roland Garros e da quella di Flavia Pennetta agli U.S. Open in poi, se una piccola frustrazione è rimasta all’italiano appassionato di tennis davanti alla tv non è più quella di vedere un/una connazionale vincere uno dei quattro tornei del Grande Slam, quanto il doversi arrendere ancora oggi alle misere testimonianze in video della vittoria di Adriano Panatta a Parigi – era d’estate, correva l’anno 1976 –. A spizzichi e bocconi, tutto quel che si può raccattare in rete sulla finale contro lo statunitense Harold Salomon, messo insieme farà sì e no mezz’ora, e di infima qualità.

Pur avendo vinto un ventesimo degli Slam di King Roger, per gli italiani della Generazione X Panatta è stato King Adriano, né più e né meno. Sarà che il mito di Nicola Pietrangeli era troppo in là nel tempo, sarà che “Panatta” suonava assai meglio di “Gerulaitis”, sarà che Adriano soprannominato ‘Ascenzietto’ (in quanto figlio di Ascenzio, custode del Tennis Club Parioli di Roma) era nato per vincere, sarà l’eleganza del gesto sportivo (fine dei “sarà”), durante la Panatta-mania di metà anni 70 ai corsi di tennis ti facevano comperare una Bancroft come la sua e ti dicevano che la racchetta s’impugnava come la impugnava lui, e che il dritto si tirava come lo tirava lui e pure il servizio, la volée e il rovescio (a una mano, non a due, che era da sfigati). Quanto alla ‘veronica’ – una specie di smash di rovescio, tirato di spalle – più che un colpo era un passo di danza, e riusciva solo a lui.

Nel 1976 le donne amavano Panatta come di lì a poco avrebbero amato Julio Iglesias, con gli isterismi tipici della Tizio-mania che valgono per chiunque e ovunque, tanto nel tennis quanto altrove. Certo, Barazzutti non era un adone e nemmeno Bertolucci e Zugarelli, e per colpire il pubblico femminile a Panatta bastava un ravviare di capelli prima del servizio. Relativismo a parte, della Panatta-mania serve piuttosto ricordare che in quel glorioso anno, Adriano – o “A-drià-no”, il coro del Foro Italico, seguito da battiti di mano come in ‘Soldi’ di Mahmood – vinse Parigi, Roma e la Coppa Davis, celebrata da Domenico Procacci nel documentario ‘La squadra’, un sunto di quanto di sportivo e non solo accadde all’Estadio Nacional de Chile, con gli azzurri in maglietta rossa alla faccia di Pinochet il sanguinario.

Quello sono io

Quarantasette anni dopo, la mania è un po’ diversa. Con le sue lunghe leve da ragno e la faccia da universitario perenne, Jannik Sinner non è (ancora) un sex symbol, i suoi sponsor non sono (ancora) quelli del lusso sfrenato ma quelli della fibra veloce e delle cialde del caffè. La Sinner-mania è diversa anche perché a 22 anni, Jannik ha già vinto i titoli Atp che Panatta ha vinto in una carriera intera e ha conquistato il quarto posto in classifica molto prima di lui. Panatta che martedì scorso, nella notte torinese di Sinner-Djokovic, durante la colorita telecronaca del tennis Rai D.G. (dopo Galeazzi), si è reso protagonista di un doppio passaggio di consegne: il suo e quello dello sconfitto. “È il nuovo Djokovic”, dice A-drià-no di Sinner a partita appena conclusa, col suo tipico distacco dalle cose, anche quelle più eclatanti, e senza il minimo patriottismo perché nel luglio del 2022 fu lo stesso serbo, commentando il match stravinto contro il più giovane italiano, a riferire la sensazione di aver giocato contro sé stesso: lucidità, profondità, servizio, risposta, gioco al volo ‘quanto basta’ e la forza mentale di cavarsi d’impiccio anche quando altri si darebbero per spacciati.

Sull’orlo di una crisi di nervi

Il match di martedì scorso a Torino non ci è parso la fine di niente, semmai l’inizio di qualcosa; non ha segnato la fine di Djokovic, semmai l’inizio di Sinner, per quanto le due finali vinte contro Medvedev avessero già detto tutto sulla sua tenuta fisica e mentale e per quanto la semifinale di stasera, sempre contro il russo, dirà. Sinner-Djokovic ha anche segnato un salto di qualità nella vita dello spettatore televisivo italiano, abituato a Fognini che maledice il mondo, a Sonego che manda a quel paese sé stesso e, anni prima, a Canè che si giocava contro: nel 1987 il bolognese arrivò a un passo dall’eliminare un altro re, Ivan il terribile, dal torneo di Wimbledon. Il salto di qualità è che da Sinner-Djokovic in avanti lo spettatore televisivo italiano non spegnerà la tv con l’amaro in bocca, vittima delle crisi di nervi altrui, trascinato in una centrifuga di emozioni senza risciacquo. Perché Jannik, prima di arrendersi, le avrà tentate tutte.

C’è dell’altro. Sinner batte Djokovic e non lancia in aria la racchetta, non si accascia al suolo, non rivolge gli occhi al cielo e non mangia l’erba (ok, a Torino l’erba non c’è). Poco prima, mentre il numero uno al mondo imprecava contro arbitro e pubblico, una volta esauriti tutti gli espedienti da circolo del tennis (“Anche io ho dolori alla cervicale”, dice Panatta mentre Nole chiede l’intervento del fisioterapista) – Sinner cambiava campo pensando agli affari suoi. Fino alla vittoria, niente di più che un alzare di braccia e un bel sorriso indirizzato al suo angolo, cose che nemmeno Bjorn Borg.

Giannik

“Ci voleva un altoatesino”, hanno detto in tanti. Fosse ancora vivo, lo avrebbe pensato anche Gianni Clerici, che forse Jannik lo avrebbe chiamato Giannik, rimproverandogli di aver parlato solo tedesco quando in Austria, trofeo in mano, il tennista salutò il pubblico a casa. Poco male: se anche a Roma non sarà come “A-drià-no”, se anche non saranno tutti i trofei di Nole e nemmeno la classe di King Roger, quel poco di normalità e buona educazione dai capelli rossi, quel Supergiovane che prende a pallate “i matusa e il governo” a noi spettatori televisivi basta e avanza.