Il partito ecologista sa di non avere chance di entrare in Consiglio federale. Eppure attacca uno dei due seggi del Plr. Perché?
Come si concilia la baldanza mostrata questo fine settimana da Balthasar Glättli nell’annunciare che i Verdi in dicembre si candideranno al Consiglio federale, con i balbettii in proposito pronunciati la domenica elettorale dallo stesso presidente e dalla capogruppo in Parlamento Aline Trede? Come si spiega che, nel giro di pochi giorni, Glättli sia saltato da frasi tipo “questo risultato non rafforza le nostre ambizioni”, o “statisticamente ancora giustificato, ma politicamente non realizzabile”, ad affermazioni come “il clima ha bisogno di un rappresentante in governo” e alla sentenza “la formula magica è definitivamente morta”? Possibile che l’errore commesso dall’Ufficio federale di statistica abbia ribaltato tutto, e che dopo la cosmetica correzione al rialzo del loro risultato (dal 9,4 al 9,8%) i Verdi si siano montati la testa? Al punto da rivendicare – cosa che persino dentro il partito ha fatto strabuzzare gli occhi – uno spostamento verso sinistra del baricentro governativo, quando invece è la destra a uscire rafforzata da queste elezioni?
Sull’onda dell’emotività si dicono castronerie. Ma le dichiarazioni a caldo dei vertici del partito ecologista rivelano ben altro che semplice avventatezza. Correzione statistica o no, al di là di percentuali e numero di seggi, Glättli e i suoi ormai hanno capito che per entrare in Consiglio federale devono cambiare registro. La storia lo dimostra: un partito viene cooptato in governo (o ‘promosso’, come col secondo seggio Udc nel 2003) solo quando comincia a ‘destabilizzare’ il sistema.
“Dobbiamo diventare cattivi”, dice ora Glättli alla ‘Wochenzeitung’. Pochi giorni fa, prima della famosa correzione, lo zurighese parlava proprio della mancanza di forza d’urto, della necessità per il suo partito di (ri)mettersi a raccogliere firme per iniziative e referendum. “Il suo obiettivo – scrive il periodico di sinistra – è una mobilitazione permanente e quindi un’attivazione della società civile anche tra le votazioni e le elezioni”. Ma come? Un partito intenzionato a riscoprirsi costantemente in campagna, a… rinverdire gli albori movimentisti, che al contempo ambisce a entrare nelle grigie stanze del potere?
La contraddizione è solo apparente. Da giorni, il presidente dei Verdi non cessa di ripetere (a ragione) che il Plr è sovrarappresentato in Consiglio federale. Che mai il Plr era caduto così in basso. E via dicendo. Glättli però sa bene che un conto è l’aritmetica, un altro la politica. E che il partito – in quella che ‘Le Temps’ ha già definito una “operazione kamikaze” e la ‘Nzz’ una “Waterloo” – non ha alcuna chance, chiunque dei suoi vada allo sbaraglio.
Gli ecologisti possono contare al massimo sul Ps (il Plr però minaccia ritorsioni, e i socialisti non hanno interesse a giocare col fuoco) e sugli indeboliti cugini verdi-liberali. Ma senza il sostegno del Centro non andranno da nessuna parte. Per il presidente Gerhard Pfister non se ne parla di estromettere consiglieri federali che si ripresentano. E poi, chi glielo fa fare di favorire adesso il sacrificio – sull’altare di una causa altrui – di un ‘ministro’ Plr che lui già vede trasformato in agnello sacrificale – in nome della causa del suo, di partito – alla prossima occasione?
No, i Verdi non si sono montati la testa. Sono solo diventati meno ingenui. Intanto mantengono la pressione sul Plr (e il Ps). E quando l’Assemblea federale risponderà un’altra volta ‘no’ alle loro pretese, potranno sempre dire che non c’è alternativa all’opposizione. “Se non veniamo coinvolti nella responsabilità di governo, dobbiamo bloccare”, aveva dichiarato Glättli già mesi fa alla ‘Nzz am Sonntag’. D’altronde, cos’ha ora il partito da perdere?