laR+ IL COMMENTO

... e un terzo continente a scelta

La megalomania della Fifa, dopo la decisione di giocare un Mondiale in sei paesi e ben tre continenti diversi, pare non avere davvero più alcun limite

In sintesi:
  • Il governo del calcio mondiale, che dice di avere a cuore la sostenibilità ambientale, organizza un torneo in cui gli inquinanti spostamenti aerei saranno moltissimi e su distanze smisurate
  • Dopo l'edizione assegnata al Qatar, si prospetta un'altra kermesse in un paese non troppo virtuoso nel rispetto dei diritti umani
6 ottobre 2023
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Con l’allargamento della fase finale della Coppa del mondo a quarantotto squadre e con l’organizzazione del torneo 2026 affidata a ben tre Paesi – Canada, Usa e Messico – credevamo sinceramente di averle viste ormai tutte, e che la fantasia di Gianni Infantino, per quanto scatenata, davvero non potesse partorire null’altro di più folle. E invece, il numero 1 della Fifa ha saputo stupirci una volta di più.

Spinto da megalomania e gigantismo – oltre ovviamente che dalla cupidigia – il dirigente vallesano è stato infatti capace di superare se stesso e di spingersi dove nessuno, prima di lui, nemmeno aveva osato immaginare. E così, nel 2030, le partite del sempre più elefantiaco Mondiale di pallone saranno distribuite sulla bellezza di sei diverse nazioni e – autentico tocco di classe – addirittura in tre distinti continenti. Una mossa imperialista che soltanto il più tossico fra gli adepti del Risiko! – gioco a dadi che ha ispirato il titolo di questa colonna – avrebbe potuto sfoderare.

L’equazione è semplice assai: più squadre significa più sponsor e più incassi dai diritti tv, che valgono ormai cifre a nove o dieci zeri e che fanno del governo del calcio planetario un colosso economico capace di far passare per mendicanti alcune delle più importanti multinazionali. Per carità, volersi arricchire vergognosamente – per quanto eticamente possa risultare una pratica non condivisibile da tutti – non è mica un reato. Però, se questo è il vostro obiettivo, abbiate almeno l’onestà e il coraggio di dirlo chiaramente, invece di continuare a spacciarvi per ente di beneficenza senza alcuno scopo di lucro.

Così infatti recita in modo assai naïf la ragione sociale della Fifa, il che obbliga il colosso zurighese (con sempre più consistenti emanazioni a Singapore e a Miami) a reinvestire almeno ufficialmente ogni centesimo – tolte ovviamente le spese di gestione – nel calcio stesso. E proprio qui sta il busillis, perché per quanto se ne dica, nessuno sa di preciso quale parte di questo patrimonio incalcolabile vada davvero a favore dello sviluppo del gioco e dei ragazzi che lo praticano – specie nei Paesi meno ricchi e meno sviluppati – e quanto invece finisca nelle tasche dei politici e dei dirigenti che operano in quelle realtà sfavorite.

Ciò che si sa bene, invece, è che Infantino e l’organizzazione che dirige fanno affari con Paesi e governi che investono nello sport soltanto per dare una poderosa insaponatura alla propria immagine insozzata dal palese mancato rispetto dei diritti umani. Del resto, il massimo organo calcistico mondiale è famoso per predicare bene e razzolare malissimo: si riempie la bocca con slogan a favore di ogni tipo di minoranza, ma poi come detto fa merenda con regnanti che le minoranze le mettono al muro.

E altrettanto fa coi temi ambientali, altro ritornello con cui ci martella in continuazione, salvo poi organizzare un torneo spalmato su mezzo mondo e in sei diversi Paesi – Marocco, Spagna, Portogallo, Argentina, Uruguay e Paraguay – autentico inno agli inquinanti spostamenti aerei intercontinentali, alla faccia della responsabilità sociale di cui tanto si vanta.

Un Mondiale simile, invece di coinvolgere il maggior numero possibile di comunità e individui, diventerà in realtà appannaggio di pochi tifosi privilegiati, che potranno accollarsi le spese che comporta seguire la propria squadra – potenzialmente – in tre continenti diversi. Per i peones, invece, partite in tv a costi sempre maggiori, e zitti. E Infantino – vi chiederete – cosa ne ricava? Probabilmente un sacco di cose, a cominciare dal fatto che, così operando, il principio della rotazione fra continenti nell’organizzazione del torneo maggiore si fa sempre più sfumata, e infatti ha già fatto sapere che non vede impedimenti all’assegnazione della kermesse del 2034 ai suoi amici dell’Arabia Saudita.