Chi in casa cresce a pane e pregiudizi, nella scuola deve poter trovare esempi positivi che mostrino punti di vista diversi
Imparare cos'è il razzismo sin da piccoli, evita di diventare adulti discriminatori. È una sfida che riguarda l’intera società, in particolare la scuola, dove si stanno moltiplicando le segnalazioni di casi di razzismo, soprattutto verso persone afrodiscendenti. Girare la testa dall’altra parte è deludente. L’apertura si insegna con l’esempio quotidiano di tolleranza, prendendo posizione e condannando apertamente i comportamenti razzisti. Specialmente docenti, direttori e chi sta sopra. L’esempio deve venire dall’alto in una società che è permeata da un razzismo strutturale. Se un ragazzino cresce a pane e pregiudizi, c’è da sperare che in classe incontri un adulto che sappia mostrargli altri punti di vista, che allarghi il suo angusto modo di giudicare, che lo renda attento alle parole divisive che feriscono.
L’attenzione dovrebbe essere molto alta nella scuola. Non sempre è così. Davanti a insulti razzisti c’è chi minimizza e chi, invece, prende posizione e sanziona. Tanti docenti non sanno come proteggere gli allievi da episodi di razzismo nel cortile della scuola. Situazioni che spesso non vengono discusse né durante la loro formazione né all’interno del corpo docenti. Devono cavarsela da soli.
Servirebbero protocolli per uniformare l’intervento e tanta formazione, molto è invece lasciato alla sensibilità del singolo. Ogni istituto scolastico dovrebbe avere un punto di riferimento per i casi di razzismo, dove docenti, studenti (sia vittime, sia autori), familiari possono rivolgersi. Succede solo in istituti virtuosi. Riconoscere i casi è il primo passo, poi occorre prendere provvedimenti. Questo secondo passo è talvolta difficile, perché c’è la tendenza diffusa a lasciar correre. Eppure gli atti discriminatori non sono ammissibili, perché feriscono la dignità altrui. Pensiamo per quante ore, giorno dopo giorno, una vittima sta in classe e subisce, poi il tutto viene moltiplicato dai social. Sono umiliazioni intense. Unicorni neri, stranieri nel loro Paese. Nel film ‘je suis noires’ di Rachel M’Bon e Juliana Fanjul, quattro donne elvetiche di colore raccontano la sofferenza, i pregiudizi subiti in Svizzera. I neri vengono fermati molto più spesso dalla polizia. Rischiano di non venire assunti. Qualcuno ha detto a una delle protagoniste del film, quando era bambina, che aveva “un colore di pelle come la cacca” e a un’altra donna nel bus “torna nel tuo Paese”. Cose simili ci hanno raccontato i genitori di Alessandro (11 anni), studente ticinese alle medie di Lugano, insultato da un compagno di classe per il colore della sua pelle. Insulti che sono continuati nella chat dei compiti: ‘Sei un brutto negro. Sei uno scimmione africano’.
La scuola dovrebbe affrontare questi temi coi ragazzi. Si parla di diritti umani ma nei testi non c’è mai espressamente la parola razzismo. A dirlo la commissione federale contro il razzismo. C’è il timore a evocarlo. Ma il silenzio non aiuta. Occorre parlarne nella formazione di base e continua dei docenti, riflettere sui propri pregiudizi e sviluppare materiali didattici appropriati. Solo così gli allievi potranno crescere in un ambiente formativo privo di discriminazioni. Dopotutto, questo è anche l’obiettivo sancito dagli articoli 2 (pari opportunità) e 8 (non discriminazione) della nostra Costituzione.