Gli ecologisti si emancipano dal Ps. Ma le loro ambizioni dichiarate non trovano riscontro nei sondaggi, né nei risultati delle ultime elezioni cantonali
“Chi ha paura di questi Verdi? Nessuno”. Era il lapidario verdetto della ‘Nzz’ in un articolo dello scorso ottobre dal titolo eloquente: ‘verde e naiv’. Dopo i tentennamenti iniziali, gli ecologisti avevano deciso di non attaccare il seggio Udc in Consiglio federale che Ueli Maurer si accingeva a liberare. Una rinuncia ragionevole: sarebbe stata un’impresa kamikaze, votata al fallimento. La loro frustrazione per non aver trovato sponde, nemmeno tra i ‘cugini’ socialisti, era sfociata nella denuncia del ‘cartello del potere’ formato dai partiti di governo, Ps compreso. Parole dure. Ma solo parole, appunto. Sempre in quei giorni, il ‘Tages-Anzeiger’ li spronava a “diventare scomodi”: “Se vogliono il potere, adesso non devono più avere riguardi nei confronti del Ps”, scriveva l’editorialista del foglio zurighese. Ma un paio di settimane dopo, i Verdi rinunceranno a presentare una candidatura anche per la successione della dimissionaria Simonetta Sommaruga (Ps).
Sono passati otto mesi e la musica nel frattempo pare essere cambiata. ‘I Verdi scoprono la Machtpolitik’ [politica del potere, ndr]’, ha titolato di recente il ‘SonntagsBlick’. Di “un processo di maturazione” parla il consigliere nazionale Bastien Girod. “Un’emancipazione [dal Ps, ndr], che non si è ancora conclusa”, secondo la capogruppo alle Camere federali Aline Trede.
Cos’è successo? Niente di che, a onor del vero. I Verdi, ad esempio, si sono assicurati la vicepresidenza della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Credit Suisse, posto al quale anche il Ps ambiva. Pur votando quasi sempre come loro in Parlamento, a differenza dei ‘compagni’ sin qui si sono dimostrati inflessibili sulla questione della riesportazione delle armi. Poi: dopo l’annuncio del ritiro di Alain Berset, hanno fatto sapere che potrebbero anche attaccare il seggio socialista. La promessa di non farlo, ribadita soltanto lo scorso autunno? Valida solo per la legislatura in corso, ribatte Aline Trede. E se rimarremo fuori dal Consiglio federale dovremo fare ostruzione (leggi: lanciare referendum su referendum), afferma il presidente Balthasar Glättli.
Di nuovo: molte parole. Intanto il barometro elettorale della Ssr (vedi ‘laRegione’ di ieri) segnala che il riscaldamento climatico rimane la principale preoccupazione degli svizzeri. Addirittura più dei premi di cassa malati, o dell’immigrazione. Eppure, lo stesso sondaggio dà proprio il partito del clima in forte calo (-3%); e anche i risultati delle ultime elezioni cantonali registrano un riflusso dell’onda verde. I dati sono sì da leggere (da relativizzare) alla luce dello strepitoso score alle federali del 2019 e delle buone performance in molti cantoni durante la prima parte della legislatura. Ma stridono con le dichiarazioni velleitarie dei vertici di un partito che oltretutto finora non ha dimostrato di possedere forza d’urto a livello di democrazia diretta (la capacità di ‘scuotere’ il sistema con referendum e iniziative vincenti), né di saper crescere in maniera costante e prolungata alle elezioni federali.
Quattro anni fa le migliaia di persone scese per strada negli scioperi per il clima suscitarono una forte mobilitazione, soprattutto tra gli elettori più giovani. Verdi (e Verdi liberali) ne approfittarono. Oggi niente più grandi manifestazioni, Greta Thunberg non la si vede più come prima; al loro posto, azioni isolate di drappelli di attivisti che – per l’irritazione di molti – bloccano il traffico incollando le loro mani su strade e autostrade. I Verdi appaiono spiazzati. Ieri, nel pieno di un’estate che a stento si può dire tale, hanno presentato le loro ricette contro la canicola.