Riflessioni sull’etimo della parola, scaturite dalla visione in tv di Jair Bolsonaro che scende dal fuoristrada
Bolsonaro scende dal fuoristrada sorridendo. La voce dice che si trova in Texas. Indossa una maglietta della squadra di calcio del Brasile. Fa qualche passo ciondolando, continuando a sorridere. Chi potrebbe essere l’uomo che sto vedendo, se uno non sa che è stato il presidente del Brasile?
Troppe possibilità per un interrogativo forse ozioso.
Rivedo mentalmente l’immagine vista ieri in televisione, mentre rifletto sull’etimo della parola "ladro". Né so perché mi venga in mente, la parola, seduto in procinto d’iniziare a lavorare. Con tante volte che l’ho sentita nella vita, oggi intuisco o ricordo che la forma porta impresso un concetto che non si associa più alla parola "ladro". Ciò che percepiamo pronunciandola, o quando la ascoltiamo, è poco. Poco rispetto a ciò che ha voluto dire in origine e lungo i secoli, che quindi contiene anche oggi.
Parentesi aneddotica, personale e forse utile, che si aggira intorno al significato più comune di "ladro" partendo da una domanda: chi ruba poco è meno ladro di chi ruba tanto? La bassezza è in relazione all’entità della preda? Primo esempio. Il vaso dei ciclamini non ha il sottovaso. Piove, ne scivola una lunga striscia scura che sporca il cortile. Mettiamo fuori il vaso per il momento accanto al cancello. Il terzo giorno non ci sono più i ciclamini. Secondo esempio. Il contenitore dell’indifferenziata è nuovo, singolare nella forma, ben fatto, pulito. Il giorno dopo non c’è più. Terzo esempio, e ultimo: entro nel supermercato e prendo il carrello. Dirigendomi verso la frutta, lascio la bella borsa rossa di un altro supermercato, lucida, ben piegata, nel carrello. Dopo due minuti non c’è più. I tre esempi illustrano alcune caratteristiche del ladro. In particolare, per un maltolto di così poco conto, insieme alla furtività, la meschineria o la pochezza d’animo. Chiusa parentesi perché è ora di uscire dal significato comune, insufficiente, della parola.
Ricordi di scuola iniziano a confortare la mia ipotesi, il sospetto. Il "latro" latino è "l’assassino di strada, il bandito". La breve e snella colonna di un vecchio dizionario etimologico soddisfa molte curiosità, avvalora il sospetto e convince, se non lo sapessi già, che l’etimologia, la lessicologia, hanno un lato pratico, e semplice, sconcertante, illuminante. Dal latino al greco al sanscrito, passando per varie lingue europee su e giù per l’asse della storia, seguendo la cronologia o non seguendola, il ladro è uno che per togliere uccide o uccide senza togliere. In greco "latris" vuol dire "mercenario": uno che, pagato, fa quello che gli dice di fare chi lo paga, qualsiasi cosa sia. La parola "soldato" – chiamato dietro compenso, come al mercenario si dà una mercede – in principio neutra, visto cosa può fare un soldato in guerra, invitato od obbligato a farlo, perde il neutro per diventare spregiativo. Uno studioso confronta il "latro" latino con le parole che in tedesco e in lituano valgono "fannullone", supponendo una parentela. Per falsa etimologia alcuni degli antichi ritenevano la parola contrazione di "làtere". Da cui: le guardie che stanno "a lato", a difesa del principe. E la falsa etimologia incontra la vera. L’avventuroso etimologo fa il passaggio inverso a quella dell’etimologo ortodosso: dalla cosa alla parola. Il grammatico Festo fantastica un passo più in là, ma anche lui non si sbaglia. Intende i "lati" come quelli della strada. L’angolo o il bivio in cui ti aspetta l’aggressore, per derubarti, ucciderti, o rapirti.
"Colui che toglie la roba altrui di nascosto": il nostro dizionario infila in fondo alla voce la definizione che ti saresti aspettata all’inizio. Di nascosto rubi due ciclamini o una borsa di supermercato. Di nascosto ordisci per ottenere un piccolo potere, poi un po’ più grande, poi più grande. Grazie al potere puoi esercitare la prepotenza finora nascosta, tutte le infamie che ritieni utili al tuo scopo, pagare persone che le compiano in vece tua, diffusamente e molte nello stesso tempo, accusare chi ti contrasta di essere ciò che sei tu, usurpare un governo per evitare "un colpo di Stato". "Cinco siglos igual", canta l’argentino León Gieco. I presidenti-caporioni di oggi sono i nipoti dei depredatori a cui ha aperto la rotta il povero Colombo. E il continente violentato non può rialzarsi dalla violenza che non si è mai interrotta. Solo qualche pausa per prender fiato. Un governo militare, dove che sia o quando, è un gruppo composto di ladri, nel significato che ora conosciamo, protetti da ladri.
Rivedo Bolsonaro che scende dal fuoristrada. Cerco di resistere alla tentazione di andare a ricercare l’immagine. Mi fido della memoria ma non sarà sufficiente. Tutto parla in un’immagine e ogni dettaglio è utile per comprendere. Vedrei se, voltandosi, ha un numero o il nome di un calciatore sulla schiena. Il sorriso è diretto a qualcuno in particolare? Altri scendono dalla stessa macchina? La moglie? Due guardie del corpo? Voglio fidarmi della memoria, non è detto che i dettagli siano sempre utili. Mi chiedo di nuovo chi potrebbe essere se non fosse l’ex presidente del Brasile. Il presidente di una squadra di calcio, com’è Macri o com’era? Quanto so di Bolsonaro mi impedisce di indovinare, dalla faccia e dal sorriso, dai pantaloncini e dal fuoristrada, dal passo oscillante, eventuali identità alternative?
Le colonnine sbilenche di un vecchio dizionario etimologico non deludono mai. Prima di inviare l’articolo, voglio vedere se alla voce "infame" è dedicato uno spazio simile e se scorrerla è altrettanto interessante. La voce è molto più breve. Mi accorgo, leggendola lentamente, dell’efficacia delle parole e delle espressioni desuete: "Di mala faccia. Macchiato notoriamente e chiaramente nell’onore. Vituperoso".