Oggi il cuore di due afghane batte forte in quello di migliaia di ticinesi che ti chiedono di non cacciare Khaleda e la figlioletta Satayesh
L’anno vecchio è finito ormai. Ricordi ‘l’anno che verrà’? Il familiare brano che ci capita a volte di canticchiare lasciava qualche luccichio di speranza a cui aggrapparsi. Agli sgoccioli è ora anche il nostro 2022, quello che non rimpiangeremo. Che ha riportato la guerra in Europa. Che ha procrastinato di nuovo la lotta al degrado ambientale, lasciandoci solo una lunga scia di parole, parole… Che ha consolidato l’atroce oppressione in Afghanistan. E che dire della nostra incapacità crescente di dialogare, di confrontarci, chiusi come siamo nelle nostre bolle di intolleranza che rimbalzano sui social come saette? La girandola di festeggiamenti, di auguri di giorni felici, tutto molto bello; però per molti il mondo non solo ha assunto tinte più scure, ma è sprofondato nel buio.
Il mio Paese, che è il tuo, da buon europeo ha aperto le porte a chi scappa dalla crudeltà di Putin. Ecco: nell’anno che verrà potremmo consegnare qualche nuvola di luce anche a chi ucraino non è. Certo la Segreteria di Stato della migrazione deve far rispettare la legge. Ci mancherebbe. Ma questa, come ben noto, va interpretata nel suo spirito, che è in primis quello del diritto umanitario. Oggi il cuore di due afghane batte forte in quello di migliaia di ticinesi che ti chiedono di non cacciarle. La Val Verzasca ha stretto in un corale abbraccio Khaleda e la figlioletta Satayesh, che lì, al termine di un calvario lungo 5 anni, hanno finalmente trovato rifugio e affetto. La ragazzina, racconta la maestra di Brione Bianca Soldati è vispa come un moscerino nella sua voglia di apprendere. La mamma, vittima a Kabul pure di violenza domestica, affetta da disturbi post-traumatici ha ritrovato il sorriso tra i nostri valligiani che, aprendo le porte alle due profughe nei giorni della natività, hanno scritto una loro novella dai contorni dickensiani.
Cara Sem, è stato deciso, in base agli accordi di Dublino, che devono essere espulse e (de)portate in Slovenia, dove avevano registrato la loro domanda d’asilo. Ordine comunicato poco prima di Natale: via da qui, entro 5 giorni, senza se, senza ma, senza neppure i soldi. Certo, la Slovenia è un Paese democratico. Ma non è in grado di gestire i profughi: l’80% delle richieste non vengono neppure trattate. Nel centro di "accoglienza" sloveno Khaleda e Satayesh erano confinate in una piccola stanza assieme a un uomo; nessuna intimità, neanche un cambio di biancheria, la doccia la facevano vestite, così da far asciugare gli indumenti sul proprio corpo. Condizioni precarie, senza scolarizzazione per la bimba, senza futuro, dopo essere state sballottate per anni da un Paese all’altro. La Fondazione azione posti liberi dell’avvocato Paolo Bernasconi ha inoltrato ricorso al Tribunale federale amministrativo, con effetto sospensivo sull’espulsione, ricordando anche la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e adolescenza. Il nostro Paese potrebbe applicare, seppur con il proverbiale contagocce, la clausola di sovranità (Dublino, articolo 17) decidendo di accoglierle. Almeno 2’700 ticinesi hanno sottoscritto la petizione e chiedono di non cacciarle. Vogliamo ignorare la loro voce? Tutti gli ingredienti sono riuniti per riconsiderare la decisione. E per tenercele ben strette qui da noi, proprio nel momento in cui a Kabul la mattanza si abbatte sui diritti delle donne, confinate in schiavitù dai tiranni di dio. Un piccolo patrio contributo reale e pure simbolico, per continuare a sperare nell’anno che verrà.