laR+ IL COMMENTO

A Palazzo federale trionfa la concordanza. E la maggioranza

L’armonia ha regnato nel rinnovo parziale del Consiglio federale. Ma nella ripartizione dei dipartimenti si è imposta (senza voto) la maggioranza Udc/Plr

In sintesi:
  • Qualche stoccata al Ps, Baume-Schneider incoronata a sorpresa, ma l’elezione dei due nuovi membri del Governo si è svolta in modo del tutto ordinato
  • L’anomalia di un lobbista del petrolio e dell’auto al volante del dipartimento ambiente ed energia
Il Consiglio federale nella sua nuova composizione
(Keystone)
9 dicembre 2022
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C’è un’anomalia nel Consiglio federale (una quasi inedita maggioranza latina); anzi, due (anche l’assenza di rappresentanti delle regioni con grandi città), pardon, tre (mancano pure i Cantoni ‘ricchi’ che contribuiscono alla perequazione finanziaria). Ma esagera chi afferma che la sorprendente elezione della giurassiana Elisabeth Baume-Schneider (Ebs) provoca "un danno irreparabile" (‘Watson’), o anche solo che quella di mercoledì "non è una buona giornata per la Svizzera" (‘Tages-Anzeiger’). L’essenziale è esserne consapevoli, continuare a parlarne. E non abbassare la guardia sul fronte dell’equilibrio linguistico e regionale. La Costituzione federale lo sancisce anzitutto per proteggere le minoranze, certo. Ma questo non significa che le legittime istanze della maggioranza, germanofona e urbana, debbano passare in secondo piano. Siamo tutti sulla stessa barca. Dunque le anomalie, presto o tardi, andranno corrette.

Piccoli strappi a parte, questo duplice rinnovo dell’Esecutivo – e la ripartizione dei dipartimenti che ne è seguita – è un trionfo della concordanza.

In fondo sono passati soltanto 15 anni dall’estromissione di Christoph Blocher dal Consiglio federale. Eppure sembra un’altra epoca. Per dirne una: è stata un’Assemblea federale a maggioranza borghese e germanofona a eleggere la ex marxista giurassiana Baume-Schneider e non Eva Herzog, esponente dell’ala social-liberale del Ps. Più svizzero di così.

Pandemia, guerra in Ucraina, crisi energetica: di recente abbiamo tutti visto un Consiglio federale alle corde. Il contesto era poco propizio per esperimenti ai più alti livelli dello Stato. E poi mancano dieci mesi alle elezioni federali: i partiti non hanno alcun interesse a farsi sgambetti che potrebbero pagare caro più in là. Qualche affondo c’è stato, sì, contro il Ps. Ma con armi per lo più spuntate, giusto per marcare presenza. Come la minaccia – subito rientrata – del Plr di non votare la francofona Ebs. O il teatrino attorno alla candidatura – mancata, poi rispuntata mercoledì e alimentata da chi non si è attenuto al ticket ufficiale, come promesso dai suoi partiti – di Daniel Jositsch. Oppure ancora i pochi voti andati, a mo’ di punizione, al neopresidente della Confederazione Alain Berset.

Contorno. L’essenziale è questo: la composizione politica del Consiglio federale non è praticamente mai stata un tema (ma tra un anno potrebbe essere un’altra storia); sono stati eletti due candidati ufficiali, nessun serio ‘Wildkandidat’ (selvaggio) ha fatto capolino; i papabili di due partiti (Udc e Ps) che sullo scacchiere politico stanno agli antipodi hanno spergiurato a non finire di voler rispettare la ‘collegialità’; Albert Rösti ed Ebs sono politici tutto sommato moderati, non puri e duri soldati di partito, il che la dice lunga sulla normalizzazione in corso, in particolare su quella del primo partito del Paese (la ‘Nzz’: ‘Dopo quella di Guy Parmelin, l’elezione di Rösti è un passo ulteriore nell’evoluzione dell’Udc verso un partito normale").

Poi c’è la ripartizione dei dipartimenti. Rapida, «consensuale», nel segno della «continuità», ha assicurato Ignazio Cassis. Non come a fine 2018, con imbarazzanti rinvio e voto. Sarà anche «un buon segno per il Paese, per la fiducia nel Governo» (sempre il presidente della Confederazione). Ma l’anomalia – creata dalla maggioranza Udc/Plr in Consiglio federale – di un ministro democentrista, (ex) lobbista del petrolio e dell’auto, al volante del dipartimento ambiente ed energia, sta lì a ricordarci che il consenso è sempre espressione di precisi rapporti di forza.