Il pessimo spettacolo della politica: incapace di trovare un’intesa, ma capace di alimentare confusione. E poi chissà perché le urne vengono disertate...
Se in Ticino c’è un esempio di imbarazzante e pessima gestione politica di un dossier di non poco conto, questo dossier si chiama ‘Riduzione dell’imposta di circolazione’. L’ultima novità, in ordine di tempo, che rende ancor più nebuloso il quadro, è il ritiro ieri da parte del governo dei decreti volti, nelle sue intenzioni, "a sanare per il prossimo anno le lacune di natura tecnica presenti nella formula sottoposta al voto popolare lo scorso 30 ottobre", e dare in tal modo seguito "alla volontà espressa dalle parti in causa". Ma sui correttivi, che il Consiglio di Stato aveva proposto nei giorni scorsi al parlamento, partiti e iniziativisti non hanno trovato un’intesa. Non è stato possibile costruire alcuna maggioranza. Un passo, quello del governo, dunque obbligato. Risultato: salvo ripensamenti e avvitamenti, il 1. gennaio entrerà in vigore il testo dell’iniziativa avallato dai cittadini un mese fa, con però le citate lacune tecniche e la conseguente disparità di trattamento. E così – tra critiche, accuse e tatticismi elettorali – siamo al circo.
Fiorenzo Dadò, presidente del Centro/Ppd e uno degli iniziativisti, chiede ora al Consiglio di Stato di risolvere, con una direttiva ai servizi competenti dell’Amministrazione cantonale, i problemi tecnici. Dimenticandosi tuttavia che il testo accolto dalle urne toglie qualsiasi competenza in materia al governo. Le modifiche legislative spettano unicamente al parlamento. E anche se l’Esecutivo agisse prima di gennaio, i tempi sarebbero strettissimi e un’eventuale sua direttiva assai difficilmente raccoglierebbe il consenso sufficiente dato il clima politico. Siamo appunto al circo. Nel quale si stanno esibendo tutti i partiti, che offrono all’opinione pubblica il peggio di loro stessi. Da un lato incapaci di giungere a un accordo su un tema che tocca direttamente le nostre tasche, dall’altro capaci di alimentare confusione. Come stupirsi allora della disaffezione dei cittadini verso la cosa pubblica, che si traduce in basse partecipazioni a votazioni ed elezioni?
Da una vicenda nella quale nessuno può essere considerato esente da errori, siano essi politici, procedurali o meramente tattici, esce ammaccato anche l’ecumenismo di cui Dadò ha provato a farsi portavoce con il ramoscello d’ulivo porto recentemente al presidente liberale radicale Alessandro Speziali. Su questo tema, come pure in altri, tra Centro e Plr è stato un dialogo più tra parti che non avevano alcuna voglia nemmeno di ascoltarsi, piuttosto che tra sordi. Un problema che si riverbererà anche nella prossima legislatura, che avrebbe bisogno di ben altre premesse.
L’aumento del costo della vita dovuto all’inflazione, i premi di cassa malati che nel 2023 schizzeranno verso l’alto, le difficoltà cui andranno incontro molte famiglie dovrebbero portare la politica a considerare – seriamente – un patto di Paese. Un atto di responsabilità che metta in secondo piano i personalismi e le agende politiche, per mettere al centro delle preoccupazioni dei partiti i reali bisogni della popolazione. Quelle famose, e a questo punto fantomatiche, priorità su cui concentrarsi. Invocate da molti, individuate da pochi. E ognuno con le proprie. Le premesse non sono buone: se nemmeno uno sconto sull’imposta di circolazione, validato dal popolo, è riuscito a mettere d’accordo una maggioranza – sarebbe bastata anche di partiti borghesi –, mal si comprende come potrà succedere su temi ben più dirimenti e impattanti. Ma le vie della politica sono infinite. Soprattutto quelle di un parlamento rinnovato.