Fenomenologia semiseria della destra italiana, tra promesse irrealistiche e minacce da bar
In Romagna lo sburone – o sborone, in forma rafforzativa sburonàz – è un po’ quello che nel mondo insubrico è il ganassa, ma agli ormoni, tanto che il significato letterale del termine evoca una copiosa eiaculazione. Lo sburone è il fratello (spesso gemello) del patàca, nella sua indomita grullaggine, ma vi aggiunge una tracotanza e un esibizionismo che sfociano nel tragicomico: è sburone quello che si ribalta mentre fa le impennate col Ciao davanti al bar, per impressionare "la morosa"; è sburone chi, nel bar medesimo, si vanta con gli astanti – che spesso vorrebbero solo bere un caffè e leggere il giornale in santa pace – delle sue imprese erotiche, condite di dettagli tanto lubrichi quanto fisicamente inverosimili; è sburone insomma chiunque esprima, come spiega bene il poeta forlivese Davide Rondoni, "una propensione al riconoscimento infinita", a "gittata illimitata", destinata a un inevitabile e spettacolare schianto.
A volere usar loro tutta, ma proprio tutta la tenerezza a disposizione, si potrebbe sostenere che Giorgia Meloni, Matteo Salvini e la loro banda di bulli da balera rientrino piuttosto bene nella categoria. Anzi ce li vediamo proprio, con la camminata a "culo basso, baricentro un po’ arretrato, gambe arcuate, come se stessero per fare sempre un duello vestern (si pronuncia così, con la V, qui)" che Rondoni associa anche al patàca. Prendete Meloni, che promette: "In Europa è finita la pacchia!"; e poi una settimana dopo è a Bruxelles a elemosinare soldi e pazienza, con le orecchie basse e il cappello in mano. O ancora il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, avatar di Salvini e della de cuius, che pur di fare il grosso con quattro ragazzini s’inventa un decreto anti-rave nordcoreano, scritto talmente male da mettere fuorilegge qualsiasi picchetto d’operai. Infatti tempo due giorni gli tocca cestinarlo.
In alcuni casi, è vero, quella sorta di compassione che si prova di fronte a certe imprese si asciuga in una smorfia di dolore e di rabbia. Come quando Salvini, pur di rilanciare le sburonate del Papeete – altra icona della Romagna più volgare e sbracata – si rimette a giocare al gatto col topo coi migranti in mezzo al Mediterraneo, utilizzandoli come "oggetti di scena" (© Francesco Costa), salvo poi dover cedere ancora una volta alle norme del diritto internazionale e della più elementare umanità ("tra i francesi che s’incazzano", sic transit Paolo Conte). D’altronde lo sa chiunque abbia passato un pomeriggio autunnale davanti a un Bar Sport di provincia, tra la nebbia e l’attesa: lo sburone, specie se messo all’angolo, può rapidamente diventare un farabutto.
In campagna – in senso agricolo più che elettorale – di solito la messinscena dura poco e ha minime conseguenze, un ginocchio sbucciato, un paio di bestemmioni, l’oste che caccia l’acrobatico cialtrone fuori dal locale. Attualmente è impossibile dire se succederà lo stesso a Palazzo Chigi. In fondo questa è la democrazia, bellezza, e poi sono appena arrivati. Una cosa, invece, si può già dare per assodata: le sparate continueranno, perché per certa gente sono l’unico modo per farsi notare, proprio come succedeva in quei pomeriggi nebbiosi. Eletti con un programma irrealizzabile fatto di baby pensioni, flat tax, evasione fiscale, frontiere chiuse, gl’inconcludenti sburoni del sovranismo dovranno sempre inventarsi qualche diversivo, pur di rimanere a galla tra social e talk show. Speriamo che la realtà continui a far da barista.