Si avvicina il Mondiale di calcio e fra gli appassionati convivono voglia di pallone e sdegno
Con le convocazioni diramate ieri da Murat Yakin ci avviciniamo ulteriormente al Mondiale di calcio che inizierà il 20 novembre. Le scelte del selezionatore rossocrociato hanno confermato ciò che ci si attendeva, compresa l’esclusione del ticinese Mattia Bottani, che sul finire della primavera – sull’onda dell’entusiasmo per la conquista della Coppa Svizzera da parte del Lugano – era stato reclutato per un paio di partite di Nations League. Ma quella chiamata, più che una reale investitura, era parsa piuttosto un premio alla carriera. Il ragazzo infatti, pur bravo, anagraficamente aveva già superato la trentina, non certo l’età ideale per inserirsi in pianta stabile in Nazionale. Smaltita la piccola delusione, è ormai tempo di cominciare a sognare e fibrillare per uno spettacolo che, nel panorama sportivo, non ha eguali. Da sempre infatti la Coppa del mondo – che scandisce e segna il quadriennio come e più delle Olimpiadi – è attesa con ansia, trepidazione e speranza. Stavolta però, insieme alla passione, altri stati d’animo ci accompagnano verso l’agognata kermesse: il disagio e l’indignazione. Sentimenti che idealmente mai dovrebbero sposarsi allo sport, ma che in questo caso è impossibile non provare. E il motivo sta nel fatto che a ospitare il torneo sarà il Qatar, Paese che certo non brilla per quanto attiene a democrazia e rispetto dei diritti umani. La discriminazione delle donne, degli omosessuali e delle minoranze in generale laggiù è pratica corrente – così come trattare i lavoratori stranieri al pari degli schiavi – e ciò non può lasciare indifferente chiunque possegga un minimo di senno. Le maggiori istanze sportive al mondo, che da decenni si riempiono la bocca di belle parole come inclusione, solidarietà e lotta all’emarginazione, di tutto ciò in realtà se ne infischiano. Fra gli ultimi Paesi a organizzare le grandi competizioni muscolari spicca infatti una notevole collezione di Stati canaglia (Cina, Russia, Brasile…) che con la Carta dei diritti umani provvedono a compiere le più basilari pratiche igieniche. Ancora l’altroieri Khalid Salman, ex nazionale qatariota e oggi ambasciatore ufficiale dei Mondiali, pensando di rendersi bello e magnanimo dichiarava ai microfoni di una tv tedesca che durante il torneo ci sarà grande tolleranza verso i visitatori gay benché – specificava – l’omosessualità rappresenti una grave malattia mentale, e dunque un peccato abominevole. Parole che, se venissero pronunciate in un mondo appena giusto, dovrebbero come minimo provocare il siluramento di chi le proferisce, ma che nel mondo che passa il convento – dove a contare è solo la pecunia, che in Qatar abbonda – vengono da molti tollerate: a cominciare dalla Fifa, che a certi Stati deve moltissimo. Assai combattuti saremo dunque tutti noi amanti del pallone nel corso delle prossime sei settimane, perché – pur comprendendo la gravità di quanto continua a succedere – non vediamo l’ora che la tenzone abbia inizio. Lodevoli – per quanto inutili – sono tutte le voci che un po’ ovunque si alzano esortando al boicottaggio della manifestazione: ma ormai è troppo tardi. Si doveva casomai, a tempo debito, evitare di assegnare al Qatar – e ai suoi simili – l’organizzazione di certi eventi.