laR+ Il commento

Governo post-fascista ed egemonia culturale

La competenza è materia che scarseggia alquanto, a partire da lei, Giorgia Meloni ora celebrata per temperamento quasi fosse una ‘lady di ferro’

In sintesi:
  • Anche in merito ai profili del suo team, per vedere qualche ‘alto profilo’ ci vuole una lente di ingrandimento.
  • Il populismo sovranista è in realtà lo scudo degli interessi del grande capitale e della finanza vorace: altro che lotta anti-establishment e anti-poteri forti.
24 ottobre 2022
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"Storico", senza dubbio: prima donna premier nella storia italiana e primo governo post-fascista della Repubblica. E doveva essere anche un governo ‘di alto profilo’. Ma, obiettivamente, la competenza è materia che scarseggia alquanto, a partire da lei, Giorgia Meloni, ora celebrata per temperamento e determinazione quasi fosse una ‘lady di ferro’, ma che come esperienza ministeriale può vantare il ministero della Gioventù – in un lontano e non memorabile governo Berlusconi –, esperienza non certo passata alla storia per qualche iniziativa di particolare significato e incisività. Ma anche in merito ai profili del suo team, per vedere qualche ‘alto profilo’ ci vuole una lente di ingrandimento. Alternativamente bisogna pescare nella sacca afflosciata dell’ottimismo (ed è certo capitato in passato anche con formazioni di centrosinistra).

Prendiamo l’Economia, il ministero più importante, dove, in tempi da far tremare i polsi, se non si vuole un Draghi ci vorrebbe almeno un… drago. Negli uffici di via XX Settembre, dove transitarono nomi illustri, ci finisce l’applicato Giancarlo Giorgetti, che però è una quarta o quinta scelta considerata la sfilza di rifiuti eccellenti che la first lady ha collezionato prima di orientarsi sul leghista di buon senso. Una squadra formata con il metro della volontà identitaria più reazionaria che conservatrice. Così, il dicastero della Famiglia va a Eugenia Roccella (versione femminile del divisivo presidente della Camera, Fontana): anti-divorzio, anti-aborto (che definisce ‘il lato oscuro della maternità’), anti-gay, e tanto tanto anti-diritti Lgbt+. Oppure il giornalista Sangiuliano (ex direttore Tg2, studioso poco riuscito del gollismo), neo-ministro della Cultura, che vuole introdurre "l’egemonia culturale di destra in Italia". Non si dirà più ‘Paese’ ma nazione; non basta "Ministero dell’impresa", va aggiunto del "Made in Italy" (un po’ di espressioni della ‘perfida Albione’).

Quindi – e non manca mai nella Penisola – qualche manciata di familismo e di ‘conflitto di interessi’. Esempi: il ‘gigante’ (per statura) Crosetto, ministro della Difesa e fino a ieri titolare di una società di consulenza per il settore armamenti; alle Riforme la Casellati, ex legale del Cavaliere, una che (c’è la registrazione video) giurò sull’esistenza di Ruby come effettiva ‘nipote di Mubarak’; o la Santanchè, socia in affari di Briatore (industria del tempo libero), sostenitrice della protesta dei titolari degli stabilimenti balneari che avrà il portafoglio del Turismo (che in Italia significa spiagge, ma ancor più arte). Infine il cambiamento dei nomi di diversi ministeri, svolta lessicale tutta ideologica di stampo nazional-sovranista: ora c’è "Istruzione e Merito" (la scuola non può essere di tutti, e prepara alla competizione e dell’individualismo); "Agricoltura e Sovranità Alimentare" (come in Francia, ma dove nacque in tempi politici ben diversi); "Ambiente e Sicurezza energetica" (‘transizione’ è concetto fastidioso per chi non la vuole, o la vuole lentissima, soprattutto in ambito industriale). Ecco, manca solo il "ministero delle Corporazioni" di mussoliniana memoria.

Insomma, se Giorgia Meloni ha – e si dà – margini strettissimi o inesistenti su Nato e politica europea, all’interno conferma platealmente la ‘linea valoriale’ dei reazionari alla polacca o all’ungherese. E sul piano sociale-economico conferma la regola: il populismo sovranista è in realtà lo scudo degli interessi del grande capitale e della finanza vorace: altro che lotta anti-establishment e anti-poteri forti.