La storia insegna che l’uscita dall’inflazione attraverso un processo recessivo comporta dei costi sociali altissimi. È davvero questa l’unica via?
Il mercato, di per sé, conosce soltanto uno strumento per contrastare l’inflazione: una profonda recessione. La Banca nazionale – ha spiegato di recente il delegato della Bns nella Svizzera italiana Fabio Bossi – punta a raffreddare l’economia rendendo "più redditizio il risparmio e più costoso il credito". Così facendo, l’autorità monetaria spera di riuscire a calmierare la dinamica dei prezzi. Cioè, di fronte al disallineamento tra offerta e domanda – per via della scarsità della prima, non per eccesso della seconda – si opta per un freno autoimposto alle capacità produttive e di consumo della società. L’aumento del costo del denaro derivato dal rialzo dei tassi d’interesse, la contrazione degli investimenti, l’erosione del potere d’acquisto dei salariati sommata alla perdita di posti di lavoro: tutto quanto contribuisce, secondo una visione ortodossa dell’economia, a "normalizzare" la situazione. La storia insegna però che l’uscita dall’inflazione attraverso un processo recessivo comporta dei costi sociali altissimi (si pensi alla crisi di fine anni Settanta). È davvero questa l’unica via?
Nel frattempo, in Svizzera e anche all’estero si moltiplicano le iniziative per cercare di mitigare gli effetti dell’inflazione. Pure in Ticino il dibattito politico nei giorni scorsi ha affrontato la questione, nonostante buona parte della nostra classe dirigente fosse impegnata negli aperitivi festivalieri.
Ci siamo già espressi a favore dell’adeguamento ai rincari degli stipendi pubblici e parapubblici, un adeguamento che funga pure da esempio per il settore privato. Un ragionamento va però fatto anche in funzione delle Pmi, realtà che rappresentano la stragrande maggioranza del tessuto economico del nostro cantone. Una proposta interessante in questo senso è stata accennata dall’economista Sergio Rossi sull’ultimo ‘Quaderno’ del Forum Alternativo. Secondo Rossi sarebbe ipotizzabile uno schema virtuoso di sgravi sugli utili per le imprese che concedano ai propri dipendenti aumenti salariali in grado di compensare i rincari.
Anche dalla destra sono giunti diversi spunti: su laRegione dell’11 agosto il capogruppo del Centro Maurizio Agustoni ha ricordato l’iniziativa sull’imposta di circolazione che, in caso di approvazione, lascerebbe nelle tasche dei cittadini (del ceto medio, medio-alto) qualche centinaia di franchi. Mentre la leghista Sabrina Aldi ha segnalato la proposta di alleggerire i contribuenti (del ceto medio, medio-alto) rendendo deducibile fiscalmente l’importo totale dei premi di cassa malati – tema caro anche al Plr di Alessandro Speziali. I socialisti invece hanno presentato un intero pacchetto di aiuti per i settori più vulnerabili.
Tutto, in qualche modo, potrebbe essere d’aiuto. Chiaro che ogni mossa implica un costo per le casse dello Stato, sia a livello cantonale che federale. È per questo che in Svizzera meriterebbe di essere presa in considerazione un’altra iniziativa che si sta facendo strada in alcuni Paesi vicini: la tassazione straordinaria dei maxi-profitti dei gruppi attivi nei settori dell’energia e degli idrocarburi. Un prelievo fiscale di questo tipo comporterebbe un duplice vantaggio: da un lato fornirebbe risorse utili a finanziare gli interventi pubblici anti-inflazione; dall’altro, grazie a delle aliquote progressive, questa imposta diventerebbe un deterrente al continuo incremento dei prezzi energetici. Controindicazioni? Nessuna, soltanto qualche potente lobby da snobbare.